Page 175 - La mirabile visione
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Poeta, che saliva e sarebbe salito. Le altre due virtù della vita
           attiva, cioè, oltre la temperanza e fortezza, la prudenza e la
           giustizia, dice di sè il Poeta, che le aveva, poichè uscì dalla selva
           e fu minacciato e tratto a mal partito, non sedotto, dall'ingiustizia,
           cioè dal leone e dalla lupa. Tra i giusti che Ciacco vede in
           Fiorenza, fossero essi due soli oppur due o tre, come a dire pochi,
           Dante metteva al certo sè medesimo, e si dichiarava immune di
           quell'incendio maligno che è acceso dalle tre faville, superbia,
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           invidia   e   avarizia;   di   quell'incendio   che   è   l'ingiustizia .   E
           sebbene e' facesse una strada che non era la sua, e perciò non era
           vera o verace o dritta, come quella che era stata intrapresa dopo
           l'oblìo di Beatrice, cioè della sapienza che si trova soltanto per
           quell'altra via; nondimeno non si può dire che agli studi avesse
           rinunziato al tutto. Egli aveva, intorno al cominciare della vita
           attiva, significato l'abbandono della contemplativa, mettendosi
           come sotto la protezione della filosofia che è anche la  Regina
           Coeli. Ciò con le due canzoni  Voi che intendendo  e  Amor che
           nella mente; di cui la prima era nota a Carlo Martello morto nel
           1295, e l'altra, a Casella che forse le diede la nota, e che morì nel
           tempo   del   giubileo.   Altra   canzone,   che   non   c'è   difficoltà   di
           assegnare a tempo precedente l'anno centesimo, è quella che
           comincia: Le dolci rime; ossia la terza del Convivio. C'è anzi così
           qualche ragione in favore, come nessuna contra.
              La canzone ha uno stretto legame con le due precedenti.


                     Le dolci rime d'Amor, ch'io solïa
                     cercar ne' miei pensieri,
                     convien ch'io lasci.

           In secondo luogo, essa vuol riprovare un "giudicio falso e vile",
           che   è   presumibile   fosse,   in   quei   tempi   avanti   il   trecento,
           pronunziato   contro   il   Poeta   medesimo.   Invero,   o   nobile   o


           142   Vel. pag. 331.


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