Page 137 - La mirabile visione
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Non pur per ovra delle rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
secondo che le stelle son compagne;
ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor prova,
che nostre viste là non van vicine;
questi fu tal nella sua vita nuova
virtualmente, ch'ogni abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
È accennato chiaramente che le rote magne drizzavano Dante
a un fine ch'egli non perseguì. E se alcuno vuol credere che si
tratti solo di bene o male, e non di "differenti uffizii", vediamo
che cosa ne pensa Dante stesso. Il quale ci dice quali stelle eran
"compagne" a lui, quando e' nacque. Egli si volge ai Gemini ed
esclama: (Par. 22, 112)
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno...
E Brunetto nel vedere per qual "calle" Dante cammina, sembra
subito approvare, e dire che la sua "stella", ora, lo guida per la sua
via buona. (Inf. 15, 54) Per certo tale stella e tal lume di gran
virtù, in quell'esempio duplice che Dante pone, d'uomini torti ad
uffizio non loro, ossia d'un guerriero torto alla religione e d'un
"da sermone" fatto re, esempio generale e sintetico che val quanto
dire "torcere alla vita contemplativa chi è nato per la attiva e
viceversa"; (Par. 8, 145) tale compagnia favorevole all'ingegno,
disponeva Dante più al sermone e alla religione, che ad esser re o
guerriero, più alla vita di Dio che a quella del mondo. Ma c'è
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