Page 118 - La mirabile visione
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Perchè ciò fosse, Dante ripetè nella seconda parte del libello il
           fatto che nella prima già costituiva lo antefatto delle Rime Nove
           che cominciò e non finì: un inganno d'amore, che lo stornò
           dall'amor suo vero; un amore per donna gentile, un amore che
           pareva nobile ed era vile, che lo distolse dall'amore nobilissimo
           per la donna gentilissima. Allora questa era viva; ora non più. È
           morta, ma che fa, se anche in lei viva non vedeva ormai che la
           speranza della contemplazione e la  sapienza, la quale gli occhi
           non possono vedere se non fuor degli strumenti loro, e la mente o
           l'anima   non   può   raggiungere,   se   non   uscendo   dall'involucro
           pesante del corpo? Che fa, s'ella, uscita dalle sue membra, è ora
           di   maggior   bellezza   e   virtù   che   allora?   Ora,   dunque,   il   suo
           disegno d'allora è più semplice: non è necessario fingere la morte
           di tutti e due ora, come era necessario allora! Fingere, sì. E agli
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           argomenti di tanti valentuomini , che hanno voluto dimostrare
           che la beatrice sapienza era a principio una Bice bella e pia, e
           invano amata in questa terra, io aggiungo questi miei. Se la
           gentilissima non era in origine altro che la Sapienza che va per le
           vie e lietamente si mostra a quelli che sono degni di lei, e si lascia
           vedere e trovare da quelli che l'amano e la cercano, ma non si
           trova e vede perfettamente se non da chi si libera del peso del
           corpo corruttibile; ebbene Dante non avrebbe finto o narrato
           veracemente un sogno o un delirio o una visione, in cui ella
           moriva od era morta: avrebbe finta, di donna imaginata, la morte
           a   dirittura.   Nè   si   dica   che   Dante   può   aver   finto   prima   il
           presentimento e poi la morte. No: egli fingeva la morte della
           donna amata, col fine evidente di fare un poema di canzoni, nel
           quale egli, morendo anch'esso, lei vedeva, a lei parlava, con lei si
           univa   nella   spiritualità   della   morte   (infelice!   e   chi   può
           rimproverarti tale finzione?); ora se poi fingeva, non più solo il
           sogno di morte, ma la morte reale, non poteva fingerla, se non per
           quel fine stesso; e tuttavia quel fine come l'adempie più? dove

           83   Sopra tutti, AD'Ancona, Discorso su Beatrice, nella sua ed. della VN.


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