Page 113 - La mirabile visione
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amici non poteva fare, per manco d'arte e scienza, non ostante
           l'altezza d'ingegno, quel che l'altro faceva.
              Dante invece scriveva la Vita Nova a principio, su per giù, del
           1292. Se le rime erano nate sparsamente nei quasi nove anni
           addietro, la prosa però è tutta d'un getto. Quando Dante si pose ad
           assemprare,   il   concetto   espresso   nell'ultimo   paragrafo   l'aveva
           pure in mente: non s'ha mica a credere a un "giornale" che egli
           tenesse de' suoi casi d'amore! Ora la prosa fu scritta quando aveva
           cominciato a studiare per trattare più degnamente di Beatrice,
           quando leggeva Boezio e Tullio e frequentava già le scuole dei
           religiosi e le disputazioni dei filosofanti. Ebbene si può supporre
           che Guido appunto allora ebbe quel disdegno, che sette o otto
           anni dopo Dante racconta d'avere riferito a suo padre sepolto.
           Perchè si può supporre? Perchè nella prosa della Vita Nova ce n'è
           un   chiaro   cenno.   Leggiamo.   Dopo   aver   parlato   del   simbolo
           nascosto   in   Beatrice   e   Giovanna,   soggiunge:   "ripensando,
           propuosi di scrivere in rima al mio primo amico (tacendomi certe
           parole le quali pareano da tacere), credendo io che ancora lo suo
           cuore mirasse la bieltade di questa Primavera gentile". (VN. 24) Il
           sonetto, in verità, tace tanto quelle certe parole, che difficilmente
           Guido   s'avrebbe   imaginato   altro   intendimento   di   quel   che
           v'appare. Ma la prosa, scritta ben più tardi del sonetto che fu
           scritto vivente Beatrice, la prosa dice che Guido non amava più
           Primavera gentile e dice che questa Primavera è detta così, perchè
           prima verrà, e che "lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni,
           lo qual precedette la verace luce". Dichiariamo meglio questa
           verace luce. "La beatitudine precederà noi in Galilea, cioè nella
           speculazione.   Galilea   è   tanto   a   dire,   quanto   bianchezza.
           Bianchezza è un colore pieno di luce corporale, più che nullo
           altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale, che
           altra cosa che quaggiù sia". (Co. 4, 22) Son parole di Dante. Chi
           può rimanere in dubbio che nella mente di lui, quando scriveva
           quel luogo della Vita Nova, Beatrice non fosse trasfigurata in



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