Page 111 - La mirabile visione
P. 111

ottavo, o, come si può dire con lo stesso effetto, tra gli anni
           diciotto e ventisette della sua vita. E il Santo parla dell'età sua
           prima "che non si ricorda d'aver vissuto, e di cui credè ad altrui".
           Dice: "mi rincresce d'annumerarla a questa mia vita che vivo in
           questo secolo... Ma ecco, io tralascio quel tempo. E che ho da far
                                                     76
           io con ciò di cui non ritrovo alcuna traccia ?" È impossibile non
           ricordare "quella parte del libro de la mia memoria, dinanzi a la
           quale   poco   si   potrebbe   leggere";   (VN.   pr.)   impossibile   non
           ripensare a quest'altro passo: "però che soprastare a le passioni e
           atti di tanta gioventudine pare alcun parlare fabuloso, mi partirò
           da esse". (VN. I) Prima di quel novennio di seduzione, il Santo
           giunge coi suoi studi, a un "certo libro d'un certo Cicerone" (da
           chi aveva imparato Dante a parlare in questo modo "udendo
           ancora che Tullio scritto avea un altro libro etc."? - Co. 2, 13): e
           legge l'Ortensio che contiene un'esortazione alla filosofia. Egli
           aggiunge: "Quel libro mutò il mio affetto, e mutò ver te stesso, o
           Signore, le mie preci, e fece diversi i miei voti e desiri. A un
           tratto mi si fece vile ogni vana speranza, e bramavo con fervore
                                                                 77
           incredibile   del   cuore   l'immortalità   della  sapienza" .   Ciò   a
           diciott'anni. E a diciott'anni Dante (scrivendo quando già aveva
           compiuto il vigesimo sesto) pone d'essersi innamorato veramente
           della gentilissima che rappresentava la speranza vera, non vana, e
           la sapienza immortale. E come il Santo subito dopo questo suo
           fervore per la sapienza, è sedotto e seduce e dura a quel modo un
           novennio, così Dante scrive d'aver subito preso uno schermo o
           una difesa, cioè d'esser stato sedotto o traviato. E con tutte le
           vicende   che   nel   libello   sono   descritte,   pure   abbiamo   questo
           notevol riscontro: che dopo su per giù un novennio Dante è

              aetatis meae, usque ad duodetricesimum, seducebamur et seducebamus,
              falsi atque fallentes...  Si tratta proprio di false imagini di bene. Vedi  S.
              Agostino e Dante, Saggio di Arena Antonio, 1899. Della Vita Nova questi
              non parla.
           76   Confess. I 6, 10; 7, 12.
           77   ib. III 4, 7.


                                          111
   106   107   108   109   110   111   112   113   114   115   116