Page 91 - Minerva oscura
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za e la luce. Dante è ora nello stato dell'anima prima avanti il pec-
           cato. La ragione illumina la volontà, e questa cavalca agevolmen-
           te, come franco cavaliere, il docile appetito sensitivo. Può così
           scegliere la sua via. Ma non poteva in quell'altro mattino già così
           lontano; chè prima la lonza, fiera alla gaietta pelle, poi un leone
           'Con la test'alta e con rabbiosa fame', e una lupa, 'che di tutte bra-
           me Sembiava carca nella sua magrezza', lo costrinsero a tenere al-
           tro viaggio. In quest'altro viaggio Dante contemplò gli effetti di
           tre disposizioni che il ciel non vuole: incontinenza, bestialità e
           malizia. Probabile mi pareva che le tre fiere simboleggiassero ap-
           punto queste tre disposizioni; la lonza l'incontinenza, il leone
           (Boezio scrive nel IV: 'Lo stemperato d'ira fremisce? animo di
           leone aver si creda') la bestialità o violenza o ira; la lupa, che
           s'ammoglia a molti animali e dall'invidia di Lucifero fu scatenata
           nel mondo, la malizia propria dell'uomo o frode, cui aveva veduto
           germinare in tante specie di peccati e che fu il primo peccato del
           primo Angelo e del primo Uomo. Duplice era in verità la malizia,
           così come Dante interpretava Aristotele: malizia con forza e mali-
           zia con frode; bestialità matta e malizia propriamente detta: così
           che a piè del colle con due figure veniva incontro a Dante. Ma tri-
           plice era, teologicamente dividendola; malizia con forza o violen-
           za o ira, malizia con frode in chi non si fida o invidia, malizia,
           con frode necessariamente congiunta a sè, in chi si fida, o super-
           bia. E la malizia, così triplice, era forse simboleggiata su l'alta
           torre di Dite nelle tre furie infernali di sangue tinte. Delle quali
           Aletto (Si tibi bacchatur mens, tunc Alecto vocatur: dice uno dei
           versi citati da Pietro di Dante), che piange (si ricordi: 'E piange là
           dove esser dee giocondo', detto dei violenti o iracondi con ingiu-
           ria consumata in Inf. XI 45), è certamente la violenza o ira, e Te-
           sifone nel mezzo sarà il tradimento o superbia, e Megera la frode
           o invidia. Ora queste tre Furie impietrano l'uomo col Gorgon,
           come le due Fiere che in due comprendono quelle tre e sono tra
           loro due simili nella 'fame', cioè nella cupidità, hanno un consimi-



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