Page 79 - Minerva oscura
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lo fa sospettare un altro sospetto, che l'episodio Dantesco sia sug-
gerito dal Virgiliano di Palinuro: Da dextram misero et tecum me
tolle per undas: Aen. VI 370 e segg.), e facendosi poi abbracciato
e baciato da Virgilio per il suo sdegno, dichiara che nè la miseri-
cordia è sempre virtù, nè l'ira è sempre peccato; e che il moto del-
a
l'irascibile è naturale all'uomo, quando è secondo ragione (S. 2 2 æ
CLVIII 2), e che vi è un appetito d'ira lodevole, che si chiama 'ira
per zelum, quando alcuno appetisce che secondo l'ordine della ra-
gione si faccia vendetta (vindicta) (ib.)'. E qui la vendetta era, se
mai altra, giusta, perchè veniva da Dio. Ora chi di questa 'ira per
zelum' non è capace, come chi solo è capace di 'ira per vitium',
pecca, e poi che Dante in quel brago destina, per bocca di Virgi-
lio, gran regi, io non sapeva se intendesse che v'abbiano a essere
tuffati per difetto della prima o per abbondanza della seconda.
XXIX.
Questi gran regi fermavano il mio pensiero. Era chiaro che il
loro castigo dopo morte era in aspro contrasto con la nobiltà loro
in vita, e che tra porci e gran regi Dante intendeva l'opposizione
che è tra nobilissimi e vilissimi. E qui soggiungevo che Dante fa
veramente vile contrario di nobile, anzi reputa che il vocabolo no-
bile sia quasi non vile (Conv. IV 16). E vile fa uguale a bestia
(Conv. III 7), dicendo vedersi 'molti uomini tanto vili e di sì bassa
condizione, che quasi non pare essere altro che bestie'. Il che è
ancor meglio spiegato con queste parole (Conv. II 8): 'le cose deo-
no essere denominate dall'ultima nobiltà della loro forma; sicco-
me l'uomo dalla ragione, e non dal senso, nè da altro che sia
meno nobile: onde quando si dice: l'uomo vivere, si dee intende-
re, l'uomo usare la ragione; ch'è sua spezial vita ed atto della sua
più nobile parte. E però chi dalla ragione si parte e usa pur la par-
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