Page 69 - Minerva oscura
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Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
                Che prende ciò che si rivolge a lei.

           Senza quel pianto di contrizione, egli meritava forse la Ghiaccia;
           ma si rese in tempo, sebbene in punto di morte, a Quello da cui si
           era allontanato in vita co' suoi peccati. E quali fossero questi, non
           dice Dante, e non si sa se credesse a quello a cui molti credevano:
           a ogni modo, in ogni peccato è allontanamento da Dio, è 'aversio';
           anzi esso peccato è allora mortale e da punirsi eternalmente,
           quando giunge sino all'allontanamento dall'ultimo fine, ciò è Dio
                a
           (S. 1  2  LXXII 5): ora questa aversione non è più certo in chi si
                  æ
           converte o si rivolge. Il che è significato da Tomaso con queste
           parole: 'Quando per la grazia si rimette la colpa, si toglie l'allonta-
           namento (aversio) dell'anima da Dio, in quanto per la grazia l'ani-
           ma a Dio si congiunge. Onde e per conseguente insieme si toglie
                                          a
           la condanna alla pena eterna (3  LXXXVI 4)'. Ma aggiunge: 'Può
           tuttavia rimanere la condanna a qualche pena temporale'. Or come
           questo? Perchè in ogni peccato è non solo l''aversio ad incommu-
           tabile bono', ma anche la 'inordinata conversio ad commutabile
                    a
           bonum (l  2  LXXXVII 4 e passim)'. Quale per la superbia, per la
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           invidia, per l'ira sia questo commutevole bene, Dante dice (Purg.
           XVII 115 e segg.): l'eccellenza, che il superbo spera; podere, gra-
           zia, onore, fama, che l'invido teme di perdere; la vendetta, di cui
           l'iroso è ghiotto. Tace poi quale sia l'altro ben che non fa l'uom fe-
           lice, a cui troppo s'abbandonano gli avari e prodighi, i golosi, i
           lussuriosi; ma facilmente s'intende, quale è. E io m'indugiavo a
           solvere un dubbio, che qui mi si presentò d'un tratto. I peccati si
           dividono dai Teologi in spirituali e carnali. Carnali sarebbero, se-
           condo Gregorio, soli la lussuria e la gola; ma altri, seguendo San
           Paolo (Ad Ephes. V) che nomina l'avaritia accanto alla fornicatio
           e all'immunditia, aggiungono l'avarizia; e di questi era certo Dan-
           te: il quale in altra cosa (lasciando l'opinione sulle gerarchie ange-
           liche;  Par. XXVIII 132) pare non si accordi con Gregorio, poi
           che, dicendo questi che i peccati carnali sono minoris culpae ma


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