Page 61 - Minerva oscura
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           raretur...' E Tomaso (1  CII 3) riporta qui il comento di Agostino
           che dice che quell'operare 'non sarebbe stato faticoso, come dopo
           il peccato, ma giocondo per lo sperimento della virtù naturale'.
           Ma poi il lavoro e la fatica, e in particolare l'agricoltura, fu all'uo-
           mo imposta da Dio 'in poenam peccati (ib.),' chè Dio era irato,
           come l'ira e simili si attribuiscono a Dio, secondo la simiglianza
           dell'effetto; or poi che proprio dell'irato è punire, il suo punire si
           chiama metaforicamente ira. Disse dunque Dio all'uomo: 'Vesce-
           ris pane tuo in sudore vultus tui'. Ma quale di questi due passi del-
           lo Genesi dobbiamo noi recarci a mente per intendere il pensiero
           di Dante? Nel primo è espresso un atto della bontà di Dio, nel se-
           condo un atto della sua giustizia: quindi il primo parrebbe più a
           noi opportuno che il secondo. Ma, oltre che il bene sta al giusto
           come il genere alla specie, non dovremmo noi credere che la giu-
           stizia di Dio, nella punizione del primo uomo, Dante ritenesse più
           tosto 'condecentia suae bonitatis' che 'retributio pro meritis'? Per
           la prima infatti risparmia, per la seconda punisce i cattivi (S. 1 a
           XXI 1). Ora l'Uomo predestinato già nella pena a essere riparato
           dalla divina bontà con 'Sì alto e sì magnifico processo (Par. VII
           109, 113)' non fu certo punito 'pro meritis', ed ebbe dunque piut-
           tosto un perdono che una pena e ricevè la prova meglio della bon-
           tà che della giustizia di Dio. Agostino poi (De Civ. D. XIV 21) ha
           per l'esortazione 'crescite et multiplicamini' un comento, che Dan-
           te poteva essersi appropriato per questo altro monito divino. Dice
           egli che tale benedizione di nozze 'fu data avanti il peccato, per-
           chè si conoscesse che la procreazione dei figli pertiene alla gloria
           del connubio, non alla pena del peccato'. E così l'operare, perchè
           dato come fine prima del peccato, conservava dopo il peccato la
           nota della bontà divina per una parte, e per un'altra prendeva la
           nota della giustizia, come il procreare figli era segno della prima
           e il partorir con dolore della seconda. E concludevo che nel pen-
           siero di Dante l'usuriere, negandosi di lavorare, disubbidiva a un
           precetto in cui era bensì il castigo dell'antico peccato, ma che era



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