Page 34 - Minerva oscura
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ti la relazione che intravedevo, o che Dante nella santificazione
           del Sabato, che è il terzo precetto, avesse veduto un senso più
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           profondo di quello che noi vediamo. In verità dice Tomaso (2  2 æ
           CXXII 4): 'Nel terzo precetto del Decalogo si comanda l'esterior
           culto di Dio sotto il segno del comune benefizio, che a tutti per-
           tiene, cioè a rappresentare l'opera della creazione del mondo, da
           cui si dice che Dio riposò nel settimo giorno'. E aggiunge che raf-
           figura, in senso anagogico, la quiete del fruir di Dio, che sarà in
           patria. E alla obiezione, che, come del sabato, si doveva far men-
           zione anche degli altri dì sacri e sacri luoghi e vasi e simili, ri-
           sponde: 'observatio sabbati est signum generalis beneficii, scilicet
           productionis universae creaturae'. Festeggiare dunque il giorno
           del Riposo di Dio, è quanto riconoscere che Dio fece 'caelum et
           terram', la qual Terra è la patria nostra presente, e il Cielo la patria
           futura. E mi pareva non impossibile che, nel pensiero simboleg-
           giante del Poeta, il peccato di Bocca, per esempio, fosse espresso
           con queste parole: Violò il Sabato di Dio. Come quello di Alberi-
           go poteva esprimersi con queste altre: Assunse il nome di Dio in
           vano; poichè col secondo precetto si proibisce lo spergiuro che
                                       æ
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           pertiene a irreligiosità (2  2  CXXII 3), e spergiura in massimo
           grado chi viola la santità della mensa, secondo anche l'antico:
           'Violasti il giuramento grande, il sale e la mensa'. Ma non era ne-
           cessità seguitare per questa via, poichè a me pareva che Dante po-
           tesse avere in mente una più semplice distinzione, suggeritagli da
           uno scrittore che certo in questo luogo aveva presente, da Cicero-
           ne (De off. III 10) che di Romolo uccisor del fratello aveva detto:
           'Omisit hic et pietatem et humanitatem'. E io pensava che, a ogni
           modo, più semplicemente si poteva affermare che superbia fosse
           violare la Pietà quale è in Cicerone, e altro peccato fosse violare
           la Umanità sola. Ma qui d'un tratto mi arrestai, dicendo: che cerco
           io questi particolari, quando è forse errato il punto principale? In
           vero superbia io dico la colpa che si punisce nella Ghiaccia; il ra-
           gionamento mi pare dirittamente condurre a questo. E c'è altro:



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