Page 15 - Minerva oscura
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questo: fare poesia. Ma dopo questo, Dante adunque si proponeva
un fine d'ammaestramento; e di quante e quali specie, non occorre
dire; ma che esso avesse a essere 'vitale', dice da sè. Ora, come
avrebbe egli cinto d'alte mura un fonte di vita? Sperare dunque
che libera sia a quello la via, a chi la trovi, è ragionevole. E per
trovarla, egli dice che bisogna seguir lui e non perderlo di vista o
di udito, e sforzarsi di passare oltre il velo della parola, e dal di
fuori entrare nel di dentro. Ebbene: io ricordo che in fine quegli
che dà tali ammonimenti e consigli, è, in certo modo, un Dante
diverso da quello che prima segue Virgilio e poi Beatrice; è bensì
lui, ma esce in quel momento dalla mirabile finzione del suo can-
to e richiama su essa l'attenzione nostra: non è più l'attore, ma
l'autore, che parla. Ora io credo che a noi convenga, per intendere
il poema, seguire appunto l'attore, il Dante che figura come am-
maestrato e guidato e illuminato continuamente e a mano a mano;
prima da Virgilio, poi da Beatrice, e qua e là impara da tutti e da
tutto; e finge, per mostrare agli altri come possano condurvisi, di
essere tratto esso 'di servo... a libertate'. Da questa parte di Dante
io penso che come è naturale che derivi non piccola oscurità, per-
chè l'autore, fingendo che l'attore sia ammaestrato nella verità via
via, non può dire la verità, quale è, d'un tratto; così è sperabile
che a noi venga la luce, se non presumeremo di precedere Dante
stesso e di veder più di quello che egli stesso dice di aver veduto.
V.
Egli non è lo scolare, che narrando come imparasse, chiarisca
gli stadii del suo tirocinio con la luce, che solo al termine della
lunga disciplina glielo illustrò; ma il discente, che volendo che gli
altri imparino come esso, non nasconde il suo graduale passare
dall'ignoranza alla scienza. Non è quel pellegrino che narra il suo
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