Page 149 - Minerva oscura
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forti, non usarono con l'appetito nè lo freno nè lo sprone; accomu-
           nati, sebbene con pena e atteggiamenti diversi, nella stessa palu-
           de; come gli avari e i prodighi nel quarto cerchio. Vinti dall'ira e
           tristi dunque; ma non rei d'ira, per così dire, consumata; poichè
           non fecero ingiuria se non a sè stessi, o l'ingiuria tollerarono a sè
           o ad altrui fatta. E sono gli uni e gli altri, per il difetto d'attività,
           accidiosi.
              Il che, come è naturalissimo dire dei fitti nel fango (ed è indu-
           bitabile, secondo il luogo di Gregorio Nysseno, Accidia est tristi-
           tia quaedam vocem amputans, che io da me trovai nella Somma e
           che dopo ritrovai nel Commento del Tommaseo, dal quale nessun
           commentatore recente, ch'io sappia, lo trasse), così può parere
           strano detto dei rissosi, di quelli cui vinse l'ira. Oh! non paia! L'i-
           ra impedì questi dall'azione, secondo un procedimento che il Poe-
           ta descrive nel Minotauro che è appunto simbolo dell'ira:

              quando vide noi, sè stesso morse

           (come l'Argenti volge in sè stesso i denti),


              sì come quei cui l'ira dentro fiacca,

           cui toglie, cioè, la forza per agire. Dal che si comprende agevol-
           mente come questi cui l'irascibile dominava, mentre essi lo dove-
           vano dominare col freno della temperanza, siano pure inattivi ed
           accidiosi come gli altri che non sollecitarono il medesimo irasci-
           bile con lo sprone della fortezza. Di tale effetto dell'ira è parola
           nella Somma (1  2 , XLVIII 2, 3, 4): ira maxime facit perturba-
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           tionem circa cor, ita ut etiam ad exteriora membra derivetur. E
           uno stato d'anima è comune all'accidia e all'ira: la tristitia. Motus
           irae insurgit ex aliqua illata iniuria contristante, cui quidem tri-
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           stitiae remedium adhibetur per vindictam  (S. 1   2   XLVIII 1).
           Chiaro che se la vendetta non si fa, resta la tristitia. Or Dante si
           cava ben d'impaccio, e non considera rei d'ira propria se non quel-

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