Page 490 - Jane Eyre
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Potevo tornare addietro ed esser la sua consolazione,
il suo orgoglio, la sua redentrice dal dolore, forse dalla
rovina.
Oh! come temevo che si fosse disperato! quel pensie-
ro mi tormentava più che se mi avesse abbandonato.
Mi pareva di avere un dardo ricurvo nel cuore; se me
lo strappavo, mi laceravo; se lo spingevo più avanti, mi
torturava.
Gli uccelli incominciavano a cantare a coppie e a
branchi; gli uccelli sono felici nei loro affetti, sono l'em-
blema dell'amore. E io, che cos'ero?
Facendo sforzi inauditi per compiere un dovere, lace-
randomi il cuore, pure detestavo me stessa.
Non avevo neppure il sollievo dell'approvazione della
coscienza, non giovò punto di essermi voluta rispettare;
avevo ingiuriato, offeso, abbandonato il mio padrone,
ero odiosa ai miei occhi! Eppur non potevo ritornare a
lui.
Iddio mi aveva certo guidata, perché il dolore aveva
calpestata la volontà e soffocata la coscienza.
Piangevo a calde lagrime percorrendo la via solitaria,
e camminavo presto come una pazza.
A un tratto fui presa da una specie di debolezza inter-
na, che si estese alle membra e caddi; per alcuni minuti
rimasi per terra, premendo il viso sull'erba umida.
Temevo, o meglio, speravo, di morire in quel luogo;
ma presto mi alzai aiutandomi con i ginocchi e con le
mani, più decisa che mai a raggiunger la via maestra.
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