Page 494 - Jane Eyre
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Oh, domande per me intollerabili, per me che non po-
tevo far nulla, né andare in nessun luogo. Occorreva che
le mie membra stanche e tremanti percorressero un lun-
go cammino prima di giungere ad una abitazione uma-
na; e dovevo implorare la fredda carità per ottenere un
asilo e importunare gl'indifferenti.
Bisognava subire un rifiuto quasi certo, senza che la
mia storia fosse ascoltata e io venissi soccorsa!
Toccai le eriche; erano umide, benché fossero ancora
calde dal sole d'estate.
Guardai il cielo: era puro, e una bella stella brillava
appunto sulla mia testa.
La rugiada cadeva dolcemente e non si udiva neppure
il mormorio della brezza; la natura pareva che fosse ver-
so di me benevola e buona, e pensai che mi amasse nel
mio abbandono, e non potendo sperare dagli uomini che
ripulse e insulti, mi rifugiai in lei con tenerezza filiale.
Quella notte almeno sarei stata sua ospite, e la buona
madre mi avrebbe dato alloggio senza esiger compenso.
Mi rimaneva ancora un pezzetto di pane comprato
con l'ultimo penny in una città dalla quale eravamo pas-
sati.
Vidi qua e là le more mature, scintillanti come chicchi
di vetro; ne colsi una manata e le mangiai col pane.
La fame, che mi tormentava prima, si calmò un poco
con quel pasto da eremiti; dissi le preghiere della sera e
scelsi un giaciglio.
Accanto alla roccia le eriche erano folte; quando mi
fui stesa, i piedi ne rimasero coperti, e le piante intorno
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