Page 422 - Jane Eyre
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risi maligni e provocanti; ditemi che mi detestate, mal-
trattatemi, fate tutto quello che più vi è a grado, ma non
agitatemi: preferisco più di essere irritato, che attristato.
— Io vi stuzzicherò finché vorrete quando avrò termi-
nato il mio racconto, ma ascoltatemi sino alla fine!
— Credevo, Jane, che m'aveste detto tutto, e che la
causa della vostra tristezza fosse stata un sogno.
Io crollai il capo.
— E che? — egli esclamò, — vi ha ancora qualcos'al-
tro? Ma non voglio credere che sia cosa d'importanza; vi
avverto anticipatamente della mia incredulità. Continua-
te.
La sua aria inquieta, la timorosa impazienza che notai
nelle sue maniere mi sorpresero; nondimeno io seguitai.
— Io feci un altro sogno, signore; Thornfield non era
più che una rovina deserta e serviva di dimora ai pipi-
strelli e ai gufi, della sua bella facciata non restava che
un muro altissimo, ma esile e di fragile aspetto; non c'e-
ra chiaro di luna; io passeggiavo sull'erba che era cre-
sciuta, sull'area del castello distrutto; urtavo ora nel
marmo d'un camino, ora contro un frammento di corni-
cione. Avvolto in uno scialle, io portavo sempre il picco-
lo fanciullo ignoto, non potevo deporlo in nessun luogo,
ad onta della fatica che sentivo nelle braccia; ancorché il
suo peso impedisse il mio cammino, bisognava custodir-
lo. Sentivo sulla strada il galoppo d'un cavallo; ero per-
suasa che eravate voi, e che andavate in un paese lonta-
no per molti anni. Salii sul muro con una rapidità febbri-
le e imprudente, col desiderio di vedervi un'ultima volta:
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