Page 207 - Jane Eyre
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adorato e credeva che la giovane preferisse la sua figura
di atleta all'eleganza dell'Apollo di Belvedere.
— E fui così lusingato, signorina Eyre, della prefe-
renza della silfide francese per il suo gnomo inglese, che
la misi in un palazzo, le detti servi, carrozza, cachemir,
brillanti e trine.
"Insomma, ero sulla via di rovinarmi, come il primo
venuto. Non avevo neppur l'originalità di battere una via
nuova per giungere alla vergogna e alla rovina; seguivo
con stupida esattezza le orme altrui.
"Ebbi, come meritava, la sorte di tutti i dissipatori.
"Andai da Celina una sera che non mi aspettava; era
uscita. Faceva caldo, e, stanco di aver percorso Parigi
tutto il giorno, mi sedei in un salottino, felice di respirar
l'aria che ella aveva consacrata con la sua presenza.
"Esagero: non ho mai creduto che alitasse intorno a
lei qualche virtù santificante; no, non aveva lasciato die-
tro a sé altro che l'odore dell'ambra e del muschio.
"Il profumo dei fiori unito alle esalazioni delle essen-
ze incominciava a salirmi alla testa, quando mi venne
l'idea di aprir la finestra e di andar sul terrazzo.
"Era lume di luna e il gaz era acceso; la notte era cal-
ma e serena, e, sedutomi sul terrazzo, accesi un sigaro.
Ne accenderò uno ancora, se me lo permettete.
Fece una pausa, cavò un sigaro di tasca, l'accese e
mandò nell'aria una buffata di fumo avanese e poi conti-
nuò:
— In quel tempo mi piacevano anche i dolci, signori-
na Eyre, e mangiavo pasticche di cioccolata fumando,
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