Page 20 - Jane Eyre
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Ogni cosa riflessa nello specchio pareva più fredda,
più trista che nella realtà, e la strana creaturina che mi
fissava col viso bianco, le braccia che si staccavano nel-
l'ombra, gli occhi scintillanti e che movevasi timorosa-
mente in quella camera silente, mi parve uno spirito,
una di quelle sottili fantasime, metà fate, metà folletti, di
cui Bessie parlava nelle novelle narrate la sera accanto
al fuoco e che essa ci descriveva uscente dalle valli ab-
bandonate, ove crescono le eriche per apparire dinanzi
ai viaggiatori.
Tornai all'ottomana. La superstizione si era insinuata
nell'anima mia in quel momento; ma essa non trionfava
ancora; il sangue mi correva ancora caldo nelle vene; la
rabbia della schiava ribelle mi animava ancora con il
suo amaro vigore; dovevo trattenere la rapida corsa del
pensiero verso il passato prima di lasciarmi abbattere
dallo sgomento del presente.
Tutte le violente tirannie di John Reed, tutta l'altera
indifferenza delle sorelle di lui, l'avversione della loro
madre, tutte le parzialità dei servi turbinavano nella mia
mente come un deposito nero in una sorgente torbida.
Perché dovevo sempre soffrire? Perché ero sempre
maltrattata, sempre condannata, sempre punita? Perché
non piacevo a nessuno? Perché ogni tentativo di amicar-
mi un cuore era un tentativo inutile?
Eliza, caparbia ed egoista, era rispettata; Georgiana,
che aveva un carattere invidioso, insolente e acre, trova-
va indulgenza presso tutti. La sua bellezza, le sue guan-
ce rosee e i suoi ricci d'oro, pareva che riempissero di
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