Page 32 - Il fanciullino
P. 32

che t’intendano? Tu non fai se non scoprire il nuovo nel vecchio. Gli al-
        tri, ossia i tuoi lettori e uditori, che non dovrebbero dire o pensare se

        non: “Come è vero! E io non ci avevo pensato”. Ma questo assentimen-
        to non ti vien sempre e nemmeno spesso. Gli occhi della gente sono

        oggi così fissi nell’ombelico della propria persona, che non hanno visto,
        si può dire, altro. E perché hanno le luci velate dalla catalessi del loro

        egoismo, dicono che sei tu oscuro. Puoi, quanto tu voglia, descrivere un
        mattino, per esempio, in campagna: chi non l’ha mai veduto sorgere,

        il sole, né in campagna né in città, non capisce e non approva nulla di
        ciò che dici. Sei inoltre oscuro, sovente per un’altra ragione: perché sei

        chiaro. Sono tanto avvezzi i lettori oggi alle girandole, agli andirivieni, ai
        viluppi dei pensieri e sentimenti; perché gli autori, attingendo questi e

        quelli di sui libri, s’ingegnano con gli stucchi e gli ori a dar loro un aspet-
        to nuovo, o fanno come le lepri, le quali, per nascondere al cacciatore

        le loro tracce, si mettono a girare e pestare su esse; sono i lettori tanto
        abituati ai misteri o gherminelle degli autori, i quali, troppo comodi,

        vogliono perpetuamente che s’intenda dagli altri meglio che da lor si
        ragioni; che quando tu dici nel tuo semplice modo le tue semplici cose,

        ecco che non ti capiscono più.
            Essi cercano in te quello che non c’è, e perché non lo trovano, ci ri-

        mangono male. E se anche ti capiscono, vale a dire se capiscono che
        non vuoi dire se non quel che dici, e non sottintendi nulla, e non hai la

        pretesa, assurda e comune, che il senso, nelle tue cose, ce lo mettano i
        lettori, allora i più non ti apprezzano. Ai più pare che il bello sia nei fregi

        e che il poetico sia nella foga oratoria, E infine, quasi tutti, come vuoi
        che ascoltino lo stormire delle foglie o il gorgoglio del ruscello o il canto

        dell’usignuolo o il suono della tua avena, se lì presso la banda del villag-
        gio assorda la campagna coi tromboni e i colpi di gran cassa?

            No no, fanciullo. La gloria o gloriola si forma con l’assenso di molti,
        e tu non sei udito, ascoltato, approvato, che dai pochi. È vero che tu

        ti rivolgi a tutti, ma ricordati: non agli uomini proprio, ma ai fanciulli,
        come te, che sono negli uomini. Ora codesti fanciulli, dato che in nes-

        suno manchino, in pochi però prestano ascolto. E sai quali sono questi
        pochi? Sono generalmente poeti. Cioè il loro fanciullo, o ti sta a sentire

        solo perché anch’esso canta e vuol sapere se tu canti meglio o peggio
        di lui, o standoti a sentire finisce con cantare anche lui. E che succede?

        Succede che un giorno o l’altro comincia a fare il tuo verso. Prima fa solo
        qualche nota, poi qualche battuta, infine tutta la tua canzone. E allora?




        28
   27   28   29   30   31   32   33   34   35   36   37