Page 30 - Il fanciullino
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to belle. Di’, egli esclama, qualche volta soltanto bene, anche né ben né
        male, magari male! La continua eleganza è sommamente stucchevole.

        È come quel pranzo descritto dal De Amicis nel Marocco, che tutto vi
        sapeva di pomata. Questa bellezza in tutto e per tutto è totalmente

        antipoetica; ché la poesia è ingenuità; e quel fanciullo, che ogni cosa
        che fa e dice, la fa con una moina e con una smorfietta, e la dice con

        parolucce smaccate e dolciate; che scapaccioni chiama quel fanciullo
        consapevole della sua fanciulleria!





                                                         XV.




            Con tutto questo, che speri tu? Che fine hai? Ritorno, come vedi, al
        primo detto. Essere utile a me? No, s’è detto. Recar utile agli altri? S’è

        detto che, se mai, non lo fai apposta: dunque non è il fine tuo, codesto.
        Dilettar te stesso? Ecco: se questo fosse il tuo fine, tu chiuderesti den-

        tro te la tua visione, e te la godresti tra te e me, senza quei tanti strug-
        gimenti che ci sono per comunicare la visione agli altri. O dunque?

            La gloriola...
            O povero fanciullo!

            Pensa, o fanciullo, quante altre cose potrei fare con maggiore rispon-
        denza a codesto fine. Da condurre un esercito a volare sulla bicicletta,

        tutto, o quasi tutto, meglio porta alla meta della vittoria e della gloria.
        Ma poniamo che ci si arrivi anche “sulle ali del canto”. Qual disgrazia

        sarebbe mettersi in questa via, e per te e per me! Prima di tutto, ne
        andrebbe molto tempo. La gloriola vuole mutui uffici. Io devo conver-

        sare, e per lettere e a voce, sì con quelli che coltivano medesimi campi,
        e chieder loro e averne notizie sull’efficacia d’un concime che usiamo,

        e dar loro e riceverne auguri e rallegramenti per un buon raccolto che
        speriamo d’avere o abbiamo avuto; sì con quelli che professano sol-

        tanto di fornir le pianticelle, i semi, i concimi chimici, gli strumenti agri-
        coli, a mano e a vapore. Quanto studio, quanta diligenza e pazienza si

        richiede per siffatta coltivazione! Bisogna raccattare tutti i cocci, come
        fanno i contadini, per seminarci e trapiantarci le tante pianticelle; anche

        i caldani rotti raccattiamo; anche quei vasi, dove cresceva il garofano di
        Geva contadinella. E star sempre lì ad annaffiare, a mondare, a potare;

        e sbirciare i vasi del vicino, e struggerci ch’egli abbia papaveri più grandi
        e girasoli più vistosi, e buttare a lui il malocchio, e contro il malocchio di




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