Page 23 - Il fanciullino
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amare! Oh! la madre è malata, la madre è lontana, la madre è morta!
        Ecco che allora ci si pensa, alla mamma, e ci si strugge. Oppure la mam-

        ma ha una gran consolazione; e noi siamo più che consolati, e ci sentia-
        mo invasi da un impeto di canto.

            Così per la patria. Non ci accorgiamo di lei, se non nelle sue feste e
        nelle sue - nostre! - disgrazie. E allora prorompe anche dal cuore del

        fanciullo il grido di gioia e il grido di dolore; ed è grido che ha subito mil-
        le echi. Ma il bambino non è un bambino che s’impanchi a far lezione

        quotidiana d’amor patrio o d’amor paterno e materno ai suoi fratellini,
        e anzi ai suoi zii e nonni. Chi pretende che faccia questo, vuole che il

        vispo fanciullo sia un vecchio noioso; vuole, insomma, che non esista la
        poesia. Perché la poesia, costretta a essere poesia sociale, poesia civi-

        le, poesia patriottica, intristisce sui libri, avvizzisce nell’aria chiusa della
        scuola, e finalmente ammala di retorica, e muore. E noi di questa pseu-

        dopoesia ne abbiamo tanta, sin da quando, morto Virgilio, invecchian-
        do Orazio, chiusa la grande rivoluzione che cominciò, si può dire, e finì

        con la morte di due donne, di Giulia e di Cleopatra, la figlia e l’amante
        di Cesare; ebbene i corvi, quali Pindaro li avrebbe chiamati, si gettarono

        gracchiando sull’immenso campo di battaglia, per beccare non occhi di
        uccisi, ma semi di poesia. E che facevano essi? Raccontavano un fatto

        storico, di quelli ultimi: lo condivano con declamazioni, esclamazioni,
        maledizioni; e lo mettevano in esametri. Ma anch’essi capivano che non

        bastano i versi a far poesia: e perciò incorniciavano la loro storia ver-
        seggiata e declamata con una descrizione di alba e un’altra di tramon-

        to; e il poema era fatto.
            Ecco Giulio Montano. Questi era un poeta come tant’altri. A ogni trat-

        to inseriva albe e tramonti. Pertanto, poiché un tale s’era seccato ch’egli
        avesse recitato per tutto un giorno, e diceva che non si doveva andare

        alle sue recite; Natta Pinario esclamò: “O che io posso essere più con-
        discendente con lui? Io sono pronto a starlo a sentire da un’alba a un

        tramonto!” Voleva dire, il buon Natta, che la seccaggine sarebbe dura-
        ta poco, e che dopo due o tre versi esso poteva andare pei fatti suoi.

        È inutile. Già Orazio ammoniva che non bastavano le descrizioncelle,
        le digressioncelle, le belle toppe rosse e gialle, per far di prosa poesia.

        Bisogna che il fatto storico, se vuol divenir poetico, filtri attraverso la
        maraviglia e l’ingenuità della nostra anima fanciulla, se la conserviamo

        ancora. Bisogna allontanare il fatto vicino allontanandocene noi. Vole-
        te una prova a cui distinguere la poesia dalla pseudopoesia, in siffatto




        G. Pascoli - Il fanciullino                                                                            19
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