Page 18 - Il fanciullino
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Considerate. Catone e Varrone scrissero di agricoltura prima di Virgi-
        lio. Erano uomini di molto giudizio e sapere, essi. Per esempio, Catone,

        suggerendo al pater familias che cosa deve dire e fare, quando si reca
        alla villa, conclude: “Venda l’olio, se si vende bene; il vino, il frumento che

        avanzi, lo venda. I buoi incaschiti, le fattrici non più buone, così le peco-
        re, la lana, le pelli, un barroccio vecchio, ferramenti vecchi, uno schiavo

        attempato, uno schiavo ammalazzito, e altra roba che ci sia di troppo,
        la venda. Un padre di famiglia deve tirare a vendere, non a comprare”.

        Quegli schiavi, tra la ferraglia vecchia e l’altra roba d’avanzo, a noi fanno
        un certo senso; eppure era naturale che si nominassero a quel pun-

        to. Varrone in fatti riferisce questa elegante distinzione delle cose con
        le quali si coltivano i campi: “Altri le dividono in tre generi: strumento

        vocale, semivocale e muto; vocale in cui sono gli schiavi, semivocale
        in cui sono i bovi, muto in cui sono i carri”. È naturale, s’intende, che

        Virgilio scrivendo di proposito sull’agricoltura, in versi bensì ma non a
        fantasia, in versi ma dopo aver studiato l’argomento anche sui libri de-

        gli altri, parlasse a ogni momento, oltre che dei plaustri e dei bovi, di
        quello strumento precipuo della coltivazione che erano gli schiavi. Noi,

        per esempio, dobbiamo aspettarci che come insegna quale profenda
        dare, erbe in fiore e biada, al polledro da razza , e ai manzi in tanto che

        si domano, non sola erba a frasche di salcio e paleo di palude, ma an-
        che piantine di grano appena nato; così ammaestri il buon massaio sul

        pane e companatico, vino e vestimenta, da fornirsi alla familia.
            Parlando di olive, è certo che egli penserà al pulmentarium familiae.

        Catone, gran maestro, dice pure: “Indolcisci quanto più puoi, di olive
        caschereccie. Quindi le olive anche buone, da cui non possa uscire che

        poco olio, indolciscile: e fanne grande risparmio, perché durino il più
        possibile. Quando le olive saranno mangiate, dà allec e aceto”. Torna-

        va bene, mi pare, discorrere di codeste olive da riporre per gli schiavi,
        e così anche dei vestimenti; ché poteva cadere in taglio, a proposito

        della lana, fare per esempio un’osservazione di tal genere: “quando a
        uno schiavo dài una tunica o un pastrano nuovo, prima ritira il vecchio,

        per farne casacche a toppe (centones)”. Insomma queste e simili prov-
        videnze erano buone a mettersi in bei versi con quel tanto garbo del

        poeta che sa parlare con solennità e gravità di umili cose.
            Oh! Sì! Non ci sono schiavi per Virgilio. Nei suoi poemi non c’è mai

        nemmeno la parola servus; c’è serva due volte, e a proposito di altri
        tempi e di altri costumi: tempi e costumi in cui il poeta vede bensì i re




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