Page 19 - Il fanciullino
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serviti da molti schiavi; eppur chiama questi famuli e ministri non servi.
        Ma i suoi campi, quelli che esso insegnava a coltivare, quelli che arava

        e seminava con i suoi dolci versi, quelli non hanno gente incatenata e
        compedita. Il poeta che nella prima delle ecloghe pastorali mette sé in

        persona d’uno schiavo liberato, ha proclamato nelle compagne italiche
        quella parola che con tanta enfasi suona dalla sua bocca di Titiro: LI-

        BERTAS. Gli agricoli di Virgilio né sono schiavi né mercenari. Essi sono
        di quelli di cui parla Varrone, che coltivano la terra da sé, come tanti

        possidentucci con la loro figliolanza. Questi ha in mente Virgilio, quan-
        do esclama che sarebbero tanto felici, se conoscessero la loro felicità,

        con tanta pace, con tanto fruttato, tra tanto bello, senza il rodio o della
        miseria o della soverchianza altrui, lavorando alla sua stagione, goden-

        dosi la famiglia in casa e le care feste fuori. Di gente che lavori per altri,
        nemmeno una traccia.

            L’ideale del poeta è quel vecchiettino Cilice, trapiantato dalla sua pa-
        tria nei dintorni di Taranto. Aveva avuto pochi iugeri di terra non buona

        né a grano né a prato né a vigna: una grillaia, uno scopiccio. Ebbene il
        bravo vecchiettino ne aveva fatto un orto, con non solo i suoi cavoli, ma

        anche gigli e rose, e alberi da frutta, e bugni d’api, e vivai di piante. Sì: il
        poco e il piccolo era il sogno dei due grandi fraterni poeti. Virgilio dice-

        va: Loda la campagna grande, e tienti alla piccina. E Orazio: Questo era il
        mio voto: un campicello non tanto grande, con l’orto, con una fonte, e per

        giunta un po’ di selvetta. Chi non dovrebbe preferire la campagna gran-
        de alla piccola, quando non toccasse di coltivarla a lui? Ma ai due poeti,

        quando erano poeti, non si presentava al pensiero questa considera-
        zione così semplice. A dir meglio, il fanciullo che era in loro, preferiva,

        come tutti i fanciulli, ciò che è piccolo: il cavallino, la carrozzina, l’aiolina.
        Oh! c’è chi ha rimproverato a Orazio quest’amor della mediocrità! Ma

        esser poeta della mediocrità, non vuol dire davvero essere poeta me-
        diocre. Il contrario, anzi, è vero. Non ama, chi dice di amare un serraglio

        di donne. Non è poeta, chi non si fissa in una visione che i suoi occhi
        possano misurare.

            E le cose grandi, le cose ricche, le cose sublimi non riescono poeti-
        che, se non sono sentite e dette in persona di chi stupisce avanti loro,

        perché appunto esso è piccolo, è povero, è umile. Il poeta è il poverello
        dell’umanità, spesso anche cieco e vecchio. E se tale non sembra, se

        anzi è gran signore e giovane e felice, ebbene vuol dire che se è ricco lui,
        è pauperculus però il fanciullino che è in lui; cioè si è conservato povero,




        G. Pascoli - Il fanciullino                                                                            15
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