Page 20 - Il fanciullino
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come a dire fanciullo. Perché poverino è sempre il bimbo, sia pur nato
in una culla d’oro, e tende sempre la mano a tutto e a tutti, come non
avesse niente e desidera il boccon di pan duro del suo compagno trito,
e vorresse fare il duro lavoro del suo compagno tribolato. Per questo
non Virgilio proprio, ma il fanciullo che egli aveva in cuore, non voleva
gli schiavi nei campi. Diremo noi che Virgilio attingesse dai libri di qual-
che filosofo o di qualche profeta questa legge di libertà? No: egli stesso
ne era forse inconsapevole, di questa libertà che proclamava. Era la sua
poesia che aboliva la servitù, perché la servitù non era poetica.
Non era poetica, e il divino fanciullo che non vede se non ciò che è
poetico, non la vedeva. Tanto che noi, se non avessimo dei tempi di Vir-
gilio altro testimone che Virgilio, dovremmo credere che non esistesse
allora più questa miseria e vergogna che non è cessata nemmeno ai
nostri, di tempi. Oh! Dovremmo credere che il Cristo non anco nato
ispirasse al poeta contadino dell’Esperia, come il vaticinio del suo av-
vento, così il presentimento della grande fratellanza umana! Non c’è
la schiavitù nell’Italia Virgiliana: nemmeno c’è il salariato, nemmeno il
mezzadro!
X.
Così il poeta vero, senza farlo apposta e senza andarsene, portando,
per dirla con Dante, il lume dietro, anzi no, dentro, dentro la cara anima
portando lo splendore e ardore della lampada che è la poesia; è, come
si dice oggi, socialista, o come si avrebbe a dire, umano. Così la poesia,
non ad altro intonata che a poesia, è quella che migliora e rigenera
l’umanità, escludendone, non di proposito il male, ma naturalmente
l’impoetico. Ora si trova a mano a mano che impoetico è ciò che la mo-
rale riconosce cattivo e ciò che l’estetica proclama brutto. Ma di ciò che
è cattivo e brutto non giudica, nel nostro caso, il barbato filosofo. È il
fanciullo interiore che ne ha schifo. Il quale come narrando le impre-
se dei suoi eroi, e dicendo tutto di loro, e, oltre le battaglie e i discorsi,
anche i pasti e i sonni, e figurando a noi, per esempio, i loro cavalli, e
ridicendo che brucavano e sudavano e spumavano, pur non dice mai
(tu vedi che procuro quanto posso, che tu non torca il niffolo) non dice
mai che stallavano; così della nostra anima non racconta che il buono
e della nostra visione non ricorda che il bello. Ché per cantare il male
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