Page 10 - Il fanciullino
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IV.
Se è in tutti, è anche in me. E io, perché da quando s’era fanciulli in-
sieme, non ho vissuto una vita cui almeno il dolore, che fu tanto, desse
rilievo, non l’ho perduto quasi mai di vista e di udita. Anzi, non avendo
io mutato quei primi miei affetti, chiedo talvolta se io abbia vissuto o
no. E io dico sì, perché ivi è più vita dove è meno morte, e altri dice no,
perché crede il contrario. Comunque, parlo spesso con lui, come esso
parla alcuna volta a me, e gli dico: Fanciullo, che non sai ragionare se
non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché
d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci
trasporta nell’abisso della verità...
Oh! Non credo io che da te vengano, semplice fanciullo, certe filze di
sillogismi, sebbene siano esposte in un linguaggio che somiglia al tuo,
e disposte secondo ritmi che sono i tuoi! Forse quei ritmi ce le fanno
meglio seguire, quelle filze, e quel linguaggio ce lo fa meglio capire,
quel ragionamento; o forse no, ché l’uno, abbagliando, ci distrae, e gli
altri, cullando, ci astraggono; sì che il fine del ragionatore non è otte-
nuto come sarebbe senza quelle immagini e senza quella cadenza. Ma
mettiamo che sia: ora il tuo fine non è, credo, mai questo, che si dica:
Tu mi hai convinto di cosa che non era nel mio pensiero. E nemmeno
quest’altro: Tu mi hai persuaso a cosa che non era nella mia volontà.
Tu non pretendi tanto, o fanciullo. Tu dici che in un tuo modo schietto
e semplice cose che vedi e senti in un tuo modo limpido e immediato, e
sei pago del tuo dire, quando chi ti ode esclama: anch’io vedo ora, ora
sento ciò che tu dici e che era, certo, anche prima, fuori e dentro di me,
e non lo sapeva io affatto o non così bene come ora!
Soltanto questo tu vuoi, seppure qualche cosa vuoi dal diletto in fuo-
ri che tu stesso ricavi da quella visione e da quel sentimento. E come
potresti aspirare ad operazioni così grandi tu con così piccoli strumen-
ti? Perché tu non devi lasciarti sedurre da una certa somiglianza che è,
per esempio, tra il tuo linguaggio e quello degli oratori. Sì: anch’essi,
gli oratori, ingrandiscono e impiccioliscono ciò che loro piaccia, e ado-
perano, quando loro piace, una parola che dipinga invece di un’altra
che indichi. Ma la differenza è che essi fanno ciò appunto quando loro
piace e di quello che loro piaccia. Tu no, fanciullo: tu dici sempre quel-
lo che vedi come lo vedi. Essi lo fanno a malizia! Tu non sapresti come
dire altrimenti; ed essi dicono altrimenti da quello che sanno che si
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