Page 6 - Il fanciullino
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la penombra dell’anima. E se gli occhi con cui si mira fuor di noi, non
        vedono più, ebbene il vecchio vede allora soltanto con quelli occhioni

        che son dentro di lui, e non ha avanti sé altro che la visione che ebbe da
        fanciullo e che hanno per solito tutti i fanciulli. E se uno avesse a dipin-

        gere Omero, lo dovrebbe figurare vecchio e cieco, condotto per mano
        da un fanciullino, che parlasse sempre guardando torno torno. Da un

        fanciullino o da una fanciulla: dal dio o dall’iddia: dal dio che sementò
        nei precordi di Femio quelle tante canzoni, o dell’iddia cui si rivolge il

        cieco aedo di Achille e di Odisseo.





                                                           II.



             Ma il garrulo monello o la vergine vocale erano dentro lui, invisibil-

        mente. Erano la sua medesima fanciullezza, conservata in cuore attra-
        verso la vita, e risorta a ricordare e a cantare dopo il gran rumorio dei

        sensi. E la sua fanciullezza parlava per ciò più di Achille che d’Elena, e
        s’intratteneva col Ciclope meglio che con Calipso. Non sono gli amori,

        non sono le donne, per belle e dee che siano, che premono ai fanciulli;
        sì le aste bronzee e i carri da guerra e i lunghi viaggi e le grandi traver-

        sie. Così codeste cose narrava al vecchio Omero il suo fanciullino, piut-
        tosto che le bellezze della Tindaride e le voluttà della dea della notte e

        della figlia del sole. E le narrava col suo proprio linguaggio infantile.
            Tornava da paesi non forse più lontani che il villaggio che è più vicino

        ai pastori della montagna; ma esso ne parlava ad altri fanciulli che non
        c’erano stati mai. Ne parlava a lungo, con foga, dicendo i particolari l’un

        dopo l’altro e non tralasciandone uno, nemmeno, per esempio, che le
        schiappe da bruciare erano senza foglie. Ché tutto a lui pareva nuovo

        e bello, ciò che vi aveva visto, e nuovo e bello credeva avesse a parere
        agli uditori. La parola “bello” e “grande” ricorreva a ogni momento nel

        suo novellare, e sempre egli incastrava nel discorso una nota a cui ri-
        conoscere la cosa. Diceva che le navi erano nere, che avevano dipinta

        la prora, che galleggiavano perché ben bilanciate, che avevano belli at-
        trezzi, bei banchi; che il mare era di tanti colori, che si moveva sempre,

        che era salato, che era spumeggiante. I guerrieri? Portavano i capelli
        lunghi. I loro caschi? Avevano creste che si movevano al passo. Le loro

        aste? Facevano una lunga ombra. Per non essere frainteso ripeteva il
        medesimo pensiero con altra forma: diceva “un pochino, mica tanto!”,




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