Page 8 - Il fanciullino
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III.



            Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno non sia,

        non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe di
        lui la miseria e la solitudine. Egli non avrebbe dentro sé quel seno con-

        cavo da cui risonare le voci degli altri uomini; e nulla dell’anima sua
        giungerebbe all’anima dei suoi vicini. Egli non sarebbe unito all’umanità

        se non per le catene della legge, le quali o squassasse gravi o portasse
        leggiere, come uno schiavo o ribelle per la novità o indifferente per la

        consuetudine. Perché non gli uomini si sentono fratelli tra loro, essi che
        crescono diversi e diversamente si armano, ma tutti si armano, per la

        battaglia della vita; sì i fanciulli che sono in loro, i quali, per ogni poco
        d’agio e di tregua che sia data, si corrono incontro, e si abbracciano e

        giocano.
            Eppure è chi dice che veramente di generi umani ve ne ha due, e non

        si scorge che siano due, e che l’uno attraversa l’altro, sempre diviso ma
        sempre indistinto, come una corrente dolce il mare amaro. Vivono per-

        sino nella stessa famiglia, sotto gli occhi della stessa madre, e vivono
        in apparenza la stessa vita germinata da uguale seme in unico solco;

        e questi sono stranieri a quelli, non d’un solo tratto di cielo e di terra,
        ma di tutta l’umanità e di tutta la natura. Essi si chiamano per nome e

        non si conoscono né si conosceranno mai. Ora se questo è vero, non
        può avvenire se non per una causa: che gli uni hanno dentro sé l’eterno

        fanciullo, e gli altri no, infelici!
            Ma io non amo credere a tanta infelicità. In alcuni non pare che egli

        sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza
        falsa. Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostra-

        zioni e operazioni; e perché con le vedono, o in altri o in sé, giudicano
        che egli non ci sia. Ma i segni della sua presenza e gli atti della sua vita

        sono semplici e umili. Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, per-
        ché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra

        sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie,
        agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fan-

        tasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza perché, di
        cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che

        nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che
        ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza

        pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tol-



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