Page 8 - Il fanciullino
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Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno non sia,
non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe di
lui la miseria e la solitudine. Egli non avrebbe dentro sé quel seno con-
cavo da cui risonare le voci degli altri uomini; e nulla dell’anima sua
giungerebbe all’anima dei suoi vicini. Egli non sarebbe unito all’umanità
se non per le catene della legge, le quali o squassasse gravi o portasse
leggiere, come uno schiavo o ribelle per la novità o indifferente per la
consuetudine. Perché non gli uomini si sentono fratelli tra loro, essi che
crescono diversi e diversamente si armano, ma tutti si armano, per la
battaglia della vita; sì i fanciulli che sono in loro, i quali, per ogni poco
d’agio e di tregua che sia data, si corrono incontro, e si abbracciano e
giocano.
Eppure è chi dice che veramente di generi umani ve ne ha due, e non
si scorge che siano due, e che l’uno attraversa l’altro, sempre diviso ma
sempre indistinto, come una corrente dolce il mare amaro. Vivono per-
sino nella stessa famiglia, sotto gli occhi della stessa madre, e vivono
in apparenza la stessa vita germinata da uguale seme in unico solco;
e questi sono stranieri a quelli, non d’un solo tratto di cielo e di terra,
ma di tutta l’umanità e di tutta la natura. Essi si chiamano per nome e
non si conoscono né si conosceranno mai. Ora se questo è vero, non
può avvenire se non per una causa: che gli uni hanno dentro sé l’eterno
fanciullo, e gli altri no, infelici!
Ma io non amo credere a tanta infelicità. In alcuni non pare che egli
sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza
falsa. Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostra-
zioni e operazioni; e perché con le vedono, o in altri o in sé, giudicano
che egli non ci sia. Ma i segni della sua presenza e gli atti della sua vita
sono semplici e umili. Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, per-
ché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra
sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie,
agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fan-
tasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza perché, di
cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che
nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che
ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza
pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tol-
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