Page 130 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
P. 130

bene. Sognando li riscrivo e la mattina mi sveglio più stanca di quando sono andata a

          dormire. […] Senza feste, senza vacanze, senza domeniche, perché guai a fermarsi.
          Guai a perdere il filo, la concentrazione. Fu così anche per Un uomo. O di più, molto
          di  più.  Fu  così  anche  per Lettera a un bambino mai nato. È così sempre. E ogni
          volta imploro i medici di aiutarmi, darmi una pillola che mi impedisce di sognare il
          libro quando scrivo il libro, di riscriverlo mentre dormo, ma ogni volta i medici mi
          rispondono: «Non si può. Non c’è pillola per questa malattia». Il solo medico che fa

          qualcosa per me, quando scrivo, è il mio oculista. Mi prescrive lenti sempre più forti
          per i miei occhiali. Perché a forza di scrivere sono diventata mezza cieca.
               Colette,  che  di  questa  fatica  se  ne  intendeva,  diceva  che  scrivere  è  un
          masochismo: un delitto contro sé stessi che dovrebbe essere punito dalla legge come
          ogni altro delitto. Io dico che è qualcosa di più: uno stato di follia, una follia suicida.
          Perché  scrivere,  scrivere  bene  ripeto,  è  un’arte.  Forse  la  più  raffinata,  la  più
          aristocratica  delle  arti.  Certo  quella  che  parla  esclusivamente  al  cervello,  al

          pensiero. E per fare questo tipo di arte bisogna essere benedetti anzi maledetti da una
          follia suicida, da un’ebrezza che paragonerei all’invasamento dei riti dionisiaci: la
          forma di conoscenza istintiva e irrazionale su cui dissertavano i filosofi presocratici.
          Allo  stesso  tempo,  però,  per  esercitare  quest’arte  bisogna  applicarne  le  regole.
          Perché un romanzo è come una casa. E per stare in piedi una casa richiede solide
          fondamenta, saldi muri portanti, misure ben calibrate. In altre parole, bisogna saper

          costruire  la  struttura  del  racconto:  la  casa.  E  poi,  mentre  si  costruisce  la  casa,
          bisogna  saperla  rendere  avvincente:  per  indurre  la  gente  ad  entrarci  e  a  restarci
          senza  sbadigliare  di  noia.  Guai  allo  scrittore  che  annoia.  Io  cerco  sempre  di  non
          annoiare quando scrivo. Cerco sempre di irretirlo, il lettore, sedurlo, tenerlo con me.
          Facendolo  piangere,  facendolo  ridere,  facendolo  soffrire,  scoppiare  di  curiosità.
          Così,  nello  scrivere,  follia  e  razionalità  si  incontrano.  Calcolo  e  spontaneità  si
          fondono per diventare la medesima cosa, il medesimo dramma.

               Il guaio è che tali regole non si insegnano, e la follia meno che mai.  Checché
          protestino  i  professori  che  nelle  università  americane  (e  forse  anche  tedesche)
          insegnano l’arte dello scrivere, sia le prime che la seconda sono dentro di noi per
          vocazione. E, come la voce di un cantante, non possono venir trasmesse. La voce di
          un cantante, o c’è o non c’è. Se c’è, puoi tirarla fuori e affinarla: perfezionarla. Se

          non  c’è,  non  puoi  fare  nulla.  E  il  romanzo  non  lo  scrivi  nemmeno  se  Omero  e
          Shakespeare insieme ti bisbigliano suggerimenti, aiutano a scriverlo bene. E a questo
          punto  lasciatemi  dire  che  cosa  significa  –  oltre  a  saper  costruire  la  casa,  oltre  a
          saperla rendere avvincente – scrivere bene.
               Significa ciò che diceva Hemingway quando diceva che una pagina scritta bene è
          come un campo di neve privo di buche, di sassi, di inciampi, sicché ci puoi sciare
          anzi scivolar via senza rimbalzi né scossoni né sbandamenti. Significa – aggiungo –
          accarezzare gli occhi di chi legge, gli orecchi di chi ascolta, farlo sentire come se

          fosse portato dal vento e volasse. Ciò che chiamo metrica, insomma, musicalità. La
          stessa metrica, la stessa musicalità, che devono avere i versi di una poesia. Perché
          non è vero che la prosa non ha nulla a che fare, non può aver nulla a che fare con la
   125   126   127   128   129   130   131   132   133   134   135