Page 81 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Yassir Arafat
Non odiamo gli ebrei, odiamo gli israeliani
Quando arrivò, puntualissimo, rimasi un attimo incerta a dirmi che no,
non poteva essere lui. Sembrava troppo giovane, troppo innocuo. Almeno
al primo sguardo, non avvertivi niente in lui che denunciasse autorità, o
quel uido misterioso che emana sempre da un capo investendoti come un
profumo o uno schia o. Di impressionante non aveva che i ba , folti e
identici ai ba che quasi ciascun arabo porta, e il fucile mitragliatore che
teneva in spalla con la disinvoltura di chi non se ne stacca mai. Certo lo
amava tanto, quel fucile, da averlo fasciato all’impugnatura con nastro
adesivo color verde ramarro: divertente e grazioso. Di statura era piccolo,
un metro e sessanta direi.
Ed anche le mani eran piccole, anche i piedi: troppo, pensavi, per
sostenere due gambe così grassocce e un tronco così massiccio, dai anchi
larghi e il ventre portato all’obesità. Su tutto ciò si rizzava una testa
minuscola, col volto incorniciato dal kassiah, e solo osservando quel volto
ti convincevi che sì: era lui Yassir Arafat, il guerrigliero più famoso del
Medio Oriente, l’uomo di cui tutto il mondo parlava. Un incredibile,
inconfondibile volto che avresti riconosciuto tra mille: nel buio. Il volto di
un divo. Non solo per gli occhiali neri che ormai lo distinguono quanto la
benda del suo acerrimo nemico Moshe Dayan, ma per la sua maschera che
non assomiglia a nessuna e ricorda il pro lo di un uccello rapace o di un
ariete arrabbiato. Infatti non ha quasi guance, né mento: si riassume tutto
in una gran bocca dalle labbra rosse e cicciute, poi in un naso aggressivo
e due occhi che se non sono nascosti dietro la cortina di vetro ti
ipnotizzano, grandi, lucidi, sporgenti. Due macchie d’inchiostro. Con
simili occhi ora mi guardava, educato e distratto. Poi con vocina gentile,
quasi a ettuosa, mormorò in inglese: «Buonasera, due minuti e sono da
lei». La voce aveva una specie di schio, l’imperfezione alla esse che noi
chiamiamo lisca.
Chi lo aveva incontrato di giorno, quando la sede di Al Fatah è a ollata
di guerriglieri e di gente, giurava di aver visto intorno a lui un’eccitazione
commossa: la stessa che egli solleva ogni volta che appare in pubblico.
Ma il mio appuntamento era notturno e a quell’ora, le dieci, non c’era
quasi nessuno: ciò contribuì a togliere al suo arrivo ogni atmosfera
drammatica. Ignorando la sua identità, avresti concluso che l’uomo era
importante solo perché accompagnato da una guardia del corpo: ma