Page 80 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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dispiace più di tutto, Rafat?» «Oh, no! È non poter giocare al calcio. Sai,
          io ero bravo, potevo diventare un campione. E mi son fatto un pallone coi

          cenci  e  a  volte  dico:  chi  vuol  giocare  con  me?  Ma  tutti  rispondono:
          smettila!» «E cosa ti manca più di tutto, Rafat?» «La mamma. Mi manca
          tanto  la  mamma.»  Così  il  vicecomandante  gli  disse  via,  non  dir  queste
          cose, e lo mandò a giocare al pallone.
             Il  vicecomandante  si  chiamava  Abu  Ahmad.  Era  uno  studente  di

           loso a, con gli occhiali, anche in battaglia ci andava con gli occhiali e
          aveva ventun anni ed era qui da due anni. Aveva anche cinque fratelli,
          tutti   dayn,  ma  in  basi  diverse,  e  due  sorelle  che  si  addestravano  per

          diventar   dayn.  «E  tua  madre  che  dice,  Abu  Ahmad?»  «Dice  che  le
          dispiace  di  non  aver  più  di  otto   gli  da  o rire  alla  Palestina.»  Quando
          Abu  Mohammed  permise  a  Moroldo  di  fare  qualche  fotogra a,  Abu
          Ahmad mi chiese di posare con lui.
             «Così  ricorderai  d’avermi  conosciuto,  e  mi  ritroverai  dopo  che  sarò

          morto,  e  sarò  un  po’  meno  morto».  Posai  con  lui  e  fu  lo  stesso  che
          spegnere  la  timidezza  degli  altri  che  mi  corsero  incontro,  contenti,  mi
          aggiustarono  in  testa  un  kassiah,  cominciarono  a  dire  «anch’io,  anch’io,

          così mi rivedrai dopo che sarò morto e sarò anch’io un po’ meno morto.»
          «Accidenti!,» esclamai «posso domandarvi un regalo?» «Sì, sì, sì!» «Ecco:
          restate  vivi,  per  favore.  Voglio  pensarvi  vivi.»  A  questo  punto  ci  fu  un
          gran  silenzio,  poi  un  gran  confabulare,  e  Rafat  si  fece  avanti,  e  mi
          abbracciò  forte,  e  mi  disse:  «Me  l’hanno  detto  loro.  Mi  hanno  detto:

          abbracciala a nome di tutti».
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