Page 75 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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accasciandosi sui marciapiedi dove al massimo si mangiava un sandwich.
          Sistemato l’Oriente, egli si sarebbe occupato di noi.

             Era così inferocito che non potevo pigliarlo sul serio, solo rispondergli
          che era male informato, in Italia non si moriva a atto di fame e anzi un
          nostro problema era proprio la dieta, fatta a base di sandwich, sì, ma col
          pane messo tra due bistecche. Poi, visto che restava deciso a «liberarci»,
          persi  le  sta e  e   nì  in  una  rissa.  Conclusi  che  non  si  prendesse  lo

          scomodo, secoli addietro gli arabi se l’eran già preso con le nostre coste,
          la  Sicilia,  la  Spagna,  e  di  ciò  ci  restava  un  ricordo  di  cui  non  eravamo
          grati.  Comunque  eran  le  sette  e  quarantacinque:  potevamo  anche

          andarcene.  Allora  capì  che  ero  o esa,  cambiò:  «Posso  spiegarle
          qualcosa?».  «Sì,  certo.»  «Ecco.  La  vita  di  un   dayn  è  molto  dura,  non
          sempre  uno  è  rilassato  come  vorrebbe.  Per  via  dei  dolori,  delle
          responsabilità, ma specialmente dell’incomprensione che avvertiamo negli
          altri paesi.

             Il  mondo  non  sa,  non  capisce  nemmeno  perché  si  combatte.  Ci  crede
          fanatici assetati di sangue e tutt’al più ci guarda come al cinematografo.
          Ma  questo  non  è  un   lm,  qui  si  muore  davvero…  Non  vogliamo

          riprendervi la Sicilia, la Spagna, le coste… Vogliamo solo esser compresi.
          Abbiamo bisogno anche noi di amicizia.» Gli eran venuti gli occhi lucidi
          lucidi. E non era più un arrogante demagogo, era solo un uomo che chiede
          d’esser  rispettato:  un  Apache  che  spara  le  frecce  a  noi  bianchi,  sbarcati
          nella sua terra con i cannoni. Gli tesi la mano e me ne andai: non dirò in

          che direzione. Dirò solo che quando mi accorsi dove avevamo trascorso la
          notte, mi colse un brivido lungo e Abu Abed esclamò in italiano: «Porca
          miseria!». Poi, con l’aria di non esserne a atto entusiasta, ci informò che

          la prossima tappa era una base al nord, dopo la città di Irbid.
             Al  nord,  lungo  il  con ne  che  si  stende  sotto  il  lago  di  Tiberiade  e  le
          alture del Golan, avvengono da circa un anno le operazioni più numerose
          e  più  temerarie  dei   dayn.  Solo  negli  ultimi  mesi,  in  quella  zona,  essi
          hanno  e ettuato  cinquanta  attacchi:  pagati  con  cento  morti  e

          duecentosessanta feriti. Quanti morti e quanti feriti abbiano in itto agli
          israeliani,  non  si  sa  con  precisione:  scappando,  i   dayn  non  hanno  il
          tempo di contare i cadaveri altrui. Ma certo le perdite sono più gravi di

          quelle  che  le  autorità  di  Tel  Aviv  vogliono  farci  credere  quando,  nei
          bollettini di guerra, dichiarano che «l’attacco si è concluso senza danni da
          parte israeliana». La regione è bollente: non a caso le rappresaglie aeree
          qui avvengono con più frequenza che a sud. In media, due o tre volte la
          settimana.  Ma  vi  sono  periodi  in  cui  i  Phantom,  gli  Shyhock,  i  Super-

          Mystère, i Mirage piombano ogni giorno e ogni notte a ondate continue
          di cinque aerei per volta.
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