Page 78 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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La  base  era  situata  in  una  delle  molte  gole  che  a ondano  tra  le
          montagne del nord e ogni accesso, ogni altura, era sorvegliato dai  dayn:

          chi  entrava  lì  dentro  si  trovava  subito  sotto  la  mira  di  fucili  invisibili  e
          pronti a sparare per il più lieve sospetto. Concentrava una cinquantina di
          giovani tra i quattordici e i ventotto anni, esperti nelle armi più svariate:
          dai  kalashnikov  ai  Carlov,  dagli  RBG  ai  katiuscia,  dai  bazooka
          all’artiglieria leggera. In massima parte studenti liceali e universitari, tutti

          stavano  lì  da  sei  mesi:  le  licenze  eran  rare,  salvo  casi  di  malattia.
          L’accampamento vero e proprio si annidava nei cunicoli di una profonda
          grotta  che  a  sinistra  era  stata  scavata  per  ricavarne  una  stanza  con  le

          pareti. Il so tto della grotta era stato spalmato con bitume, in modo da
          impedire  l’umidità,  le  pareti  della  stanza  erano  state  imbiancate  e  su
          alcune vedevi quadri rivoluzionari con graziose cornici d’argento. Vedevi
          anche un giornale murale dove si riportavano gli avvenimenti del giorno,
          con tono goliardico. Ad esempio:

             «Moshe  Dayan  s’è  rotto  una  gamba.  Speriamo  che  non  si  riattacchi».
          Oppure:  «Golda  Meir  ha  ricevuto  un  membro  dell’ONU.  Era  vestita  di
          verde e s’era fatta la barba».

             In ne  vedevi  insegne  e  cartelli  israeliani  catturati  in  battaglia  ed
          esposti  con  commenti  ironici:  «Giunto  per  posta  da  Tel  Aviv  onde
          dimostrare che i  dayn non entrano mai in Palestina (leggi Israele)». Per
          terra c’erano materassi puliti, coperte ben ripiegate, e ovunque tu girassi
          lo  sguardo  non  sorprendevi  il  più  innocente  disordine.  Non  solo:  per

          quanto  tu  ti  spingessi  all’interno,  non  annusavi  mai  gli  avanzi  di  un
          cattivo odore.
             C’era anche un centro ricreativo, e questo l’avevano messo nella grotta

          accanto,  più  piccola,  come  l’altra  scavata  e  squadrata  in  pareti
          immacolate. Conteneva una libreria, un giradischi e molti dischi in cinese.
          Tra i libri c’era il Corano e, al solito, il Diario di Che Guevara e i Pensieri di
          Mao Tse-tung. Uno, in inglese, portava il titolo Tecnologia e Nuovo Mondo.
          Un pancone di pietra, su cui era sistemato un materassino, permetteva di

          ricevere gli ospiti con decoro, e fu qui che Abu Mohammed ci fece sedere:
          o endendosi subito perché esclamai «si vede che questa base è diretta da
          un  militare».  In  un  paese  dove  i  militari  non  avevan  fatto  che  brutte

           gure,  rispose,  il  mio  era  tutt’altro  che  un  complimento:  esser  stato
          all’accademia  del  resto  gli  serviva  ben  poco.  Non  dimenticassi  che
          nell’esercito  i  rapporti  tra  u ciali  e  soldati  sono  quelli  tra  padrone  e
          servo, in guerriglia u ciali e soldati sono fratelli perché la gerarchia non
          esiste.  Nell’esercito  un  soldato  non  fa  che  obbedire  agli  ordini  e

          specializzarsi  in  un’azione  o  in  un’arma,  in  guerriglia  ciascuno  è
          indipendente e quando a ronta il nemico agisce di sua iniziativa. E cosa
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