Page 77 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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rendevi conto che la Resistenza palestinese, e in particolare Al Fatah,
costituisce in Giordania uno Stato dentro lo Stato, una forza non più
eliminabile. Chi non prende sul serio i dayn, o li considera romantici
straccioni, insomma li sottovaluta, dovrebbe vederli in basi come quella:
cambierebbe subito idea.
Anzitutto la comandava un ex-u ciale dell’esercito giordano: no al
1966 Abu Mohammed, questo è il nome che dette, era stato militare di
carriera e col diploma d’una delle più celebri accademie del Medio
Oriente. Poi, un ex-u ciale di cui tutto potevi dire fuorché fosse un tipo
qualsiasi. Disertato l’esercito di Hussein, era passato alle basi di
addestramento in Siria ricominciando daccapo con l’umiltà di una recluta
e, dopo la Siria, aveva seguito corsi di guerriglia in Cina e in Vietnam. Nel
1968 aveva partecipato alla battaglia di Karameh, negli ultimi due anni
aveva passato le linee una cinquantina di volte «in azioni di gruppo o
singole», e in alcune occasioni s’era anche spinto no alla striscia di Gaza,
al deserto del Sinai. Borghese, di nascita, ora maoista convinto, abbinava
alla disciplina del militare il rigore dell’adepto politico, e l’esempio che
dava ai suoi uomini era spinto no al masochismo: quando una pattuglia
partiva per un attacco, egli la guidava malgrado le infermità che gli
bloccavano un piede, una mano, un braccio, e la parte destra del corpo.
«Sì, cammino un po’ zoppo e con la destra non sparo: è quasi paralizzata.
Ma con la sinistra me la cavo assai bene.»
«Come avvenne, Abu Mohammed?» «Oh, niente. Cose che succedono.
Ero entrato in territorio israeliano, insieme con un compagno, per portare
esplosivi a Gerusalemme.
Al ritorno trovai la strada bloccata da loro che si stavano scontrando
con un gruppo di Al Fatah. Erano tanti, per cinque o sei dayn avevano
mobilitato per no carri armati e cannoni. Mi trovai preso nel mezzo, un
ri ettore mi illuminò e una scarica di mitra mi tagliò quasi in due: dalla
spalla al piede.» «E come ne uscì?» «Oh, niente. Fortuna.
Consegnai le armi al mio compagno e gli ordinai di mettersi in salvo.
Poi mi sollevai, ero pieno di pallottole ma nessuna aveva leso organi
vitali, e mi diressi verso la frontiera giordana. Ci vollero settantadue ore e
non fu facile, lo ammetto, perché avevo perso moltissimo sangue. Ma
raggiunsi il ume, un pescatore mi dette un passaggio per la sponda est
dove mi consegnò ai dayn. E loro a un ospedale. Qui il chirurgo fu
costretto ad asportare tutti i muscoli a destra del torace.» Questo è il suo
racconto: fatto con voce fredda e sguardo di ghiaccio. Aveva un volto
durissimo, cupo. Nelle tre ore che rimasi con lui non cedette mai a un
sorriso, a una espressione cordiale. Neppure quando mi disse d’avere
moglie e due figli, uno appena nato.