Page 72 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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ma la paura ride a sua volta in me / Lei ride e io mi sento colpevole / di non
          averti  ancora  liberato  /  mia  Palestina  /  E  mentre  il  buio  brucia  /  la  tua

          coscienza urla / ri uto di morire!». Seconda poesia: «La domanda è chi sei,
          come sei arrivato alle nostre frontiere / La risposta è: ci arrivai rendendoti un
          mendicante / Io son l’insulto dentro i tuoi occhi / E così essi vanno, spinti dalle
          mani  che  li  tradirono  sempre  /  che  li  vendettero  sempre  al  nemico  /  che
          umiliaron sempre i loro pensieri / mentre rompevan le pietre pei ricchi / Ma

          essi non furon mai stanchi di rompere pietre / non si piegarono mai alle torture
          / Hanno una volontà che resiste a tutte le sofferenze».
             Terza poesia: «Tuo padre se n’è andato, tua madre è una prostituta / Le

          hanno messo il lievito negli occhi / le hanno mangiato il volto come il pane /
          Chi fa l’amore con tua madre nel fango? / Lascerai ancora mangiare tua madre
          / e sporcarla nel fango?
             / Tua madre è nuda ma non sentirti nudo per questo / È vero, persi coraggio
          / È vero, mi umiliai, ebbi paura / quando lei vendette il suo seno / Ma stanotte

          supero le montagne / e vo verso mia madre / mia madre morta mi chiama /
          oltre i  li spinati e il fuoco / È di cile andare da lei / ma è meno di cile che
          morir come lei». Il rombo dell’aereo si abbatté a questo punto.


             Volava  così  basso  che  ti  sembrava  di  sentirgli  s orare  le  punte  degli
          alberi.  Certo  cercava  noi.  Certo  i  due  ragazzi  eran  stati  scoperti,  forse
          uccisi,  e  ora  l’aviazione  israeliana  cercava  di  individuare  la  base  da  cui
          eran partiti. A quell’aereo se ne aggiunse un altro. E poi un altro, e poi un

          altro: sfrecciavano a intervalli precisi e ogni volta i muri della mia stanza
          si squassavano quasi fossero carta. Nella veranda ci fu uno scalpiccio, poi
          uno scambio di frasi so ocate. La porta accanto si aprì, riconobbi la voce

          di  Abu  Kalid  che  dava  ordini  secchi.  Angosciosamente  sperai  che  non
          mettesse in funzione la mitraglia antiaerea, così localizzando il sospetto di
          chi  ci  cercava.  Se  non  capivano  che  la  base  era  qui,  le  speranze  di
          cavarcela  erano  moltiplicate  per  cento.  La  mitraglia  tacque.  Presto  il
          rombo si allontanò e svanì, verso sud. Ma era appena svanito che di colpo

          tornò: più forte, sempre più forte, mentre i muri si squassavano di nuovo,
          e lo scalpiccio riprendeva, e le frasi so ocate. Uno esclamò: «Ma lissa!».
          Ma  lissa  vuol  dire  «ancora  no».  Ancora  no  cosa?  Bisognava  uscire  da

          quella stanza, Moroldo dov’era?, Abu Abed dov’era?, bisognava mettersi
          insieme.  Aprii  la  porta,  un   dayn  mosse  il  fucile:  «You  stay!  Stai  lì!».
          Richiusi la porta, al rombo degli aerei si sovrappose lo scoppiettare di un
          elicottero. Ricordavo bene il rumore che fa un elicottero, c’ero stata tante
          volte in Vietnam, ciò che non ricordavo era cosa signi casse starci sotto

          anziché  sopra.  Signi cava  un  terrore  della  fanciullezza,  un  terrore
          dimenticato, sepolto e che all’improvviso saliva alle vette della coscienza
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