Page 69 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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lavorare come operaio ma… Non si tratta d’un problema psicologico. Si
tratta d’un problema storico.
La Resistenza palestinese è un fatto che esula dalle vicende di chi v’è
implicato. Esiste come conseguenza di una realtà storica e indipendente
dalla mia o sua volontà. Non a caso questa guerra assomiglia alla guerra
d’Algeria, alla guerra in Vietnam: è il risultato ovvio dell’imperialismo e
del colonialismo…» «È marxista, Abu Kalid?»
«Non ancora. Prima di decidere se lo sono o no, devo studiarmi Il
Capitale. L’ho già letto ma non l’ho capito. Sorride?» «Sì, ma solo perché
non parla come un ex-operaio o un ex-contadino.» Sembrò lusingato. «Ho
letto molto. Di giorno lavoravo e di notte leggevo. Cominciai con Victor
Hugo, Zola, Balzac, Tolstoi: i libri che trovavo in arabo.
Ma poi trovai anche una grammatica inglese, una francese, e mi misi a
leggere direttamente in inglese, in francese: bevendomi tutto in un gran
miscuglio. Shakespeare, Sartre, Ezra Pound, Aragon, Collins Wilson…» «E
ora?» «Ora leggo Guevara, Debray, Giap, Mao Tse-tung, e scrivo poesie.
Sono quel che si suol de nire un intellettuale, sebbene il termine stesso mi
offenda. Gli intellettuali…»
Di nuovo sbirciò l’orologio e mosse le labbra in un calcolo muto.
Calcolai anch’io: supponendo che la nostra base distasse dalla sponda due
chilometri o al massimo tre, in questo momento i ragazzi stavano
arrivando e forse guadavano già il ume. «Gli intellettuali, dicevo, non
servono nelle rivoluzioni. O servono a complicarle e basta.
Del resto il mio sogno non era scriver poesie, era diventare un pittore.
In Italia.» «In Italia?» «Esatto. Un libro sull’Italia m’aveva convinto che
quello e nessun altro fosse il paese dell’arte, e m’ero ssato con
Michelangelo. Lui come uomo, più che lui come artista. Mi perseguitava
l’idea che avesse dipinto la Cappella Sistina per un papa che lo
maltrattava. Pensavo: a Roma potrò vendicarlo insultando i preti. Ero
giovane. Sapevo dipingere e basta.» «Cosa dipingeva, Abu Kalid?» «Né
pecorelle né ulivi. Dipingevo gli uomini. Gli uomini come li avevo visti
dal giorno di Deir Yassin, quando duecentocinquanta tra vecchi donne e
bambini furono massacrati dai terroristi israeliani. Gli uomini come li
conoscevo dal giorno in cui ci avevano minato la casa.
Ha presente quel quadro del Goya, quello dove si vede un plotone di
soldati francesi che fucilano i patrioti? Pensavo: a Roma dipingerò i nostri
martiri sui marciapiedi, e la gente si fermerà, chiederà chi sono, cosa vuol
dire. Ed io risponderò: sono la Palestina.
In Europa non avete mai saputo ciò che accadeva in Palestina. Prima
eravate distratti dalla vostra guerra, poi dal sollievo che essa fosse nita:
gioia e dolore vi hanno sempre impedito di occuparvi di noi. O forse vi