Page 57 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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col velo. Alla nostra vicina permisero di entrare un momento e a errare il
          bambino di tre mesi, ma lei era tanto sconvolta che anziché il bambino

          a errò  un  guanciale  legato.  In  quanto  devi  sapere  che  noi  i  bambini
          appena  nati  si  legano  dentro  un  guanciale.  Fu  una  cosa  terribile,  sai.
          Quando lei s’accorse d’aver tra le braccia il guanciale senza il bambino, la
          casa era saltata in aria… Impazzì.
             Noi si camminò tutto il giorno poi si arrivò a quella cava dove si rimase

          nascosti  in  attesa  che  mi  guarissero  i  piedi.  S’erano  tutti  tagliati  a
          camminar  senza  scarpe.  Poi  si  arrivò  a  Betlemme  dove  ci  misero  in  un
          campo di profughi e dove mio padre morì, non s’è mai capito di che. Non

          mangiava più, non dormiva più, non faceva che piangere e dire: “Perché?
          Cosa gli abbiamo fatto agli ebrei, con gli ebrei noi si andava d’accordo,
          ricordi quando si cucinava insieme? Ma che gli è successo agli ebrei? Non
          ci  credo,  io  non  ci  credo!”.  E  quel  campo  divenne  la  nostra  casa.  In
          quattro ammucchiati sotto una tenda, poi in una baracca. E lì crebbi, mi

          feci anche un mestiere: camionista. E a ventitré anni mi sposai, con una
          ragazza del campo che conoscevo  n da bambino: la nipote di quella che
          aveva  preso  il  guanciale  invece  del   glio.  E  si  riuscì  a  ottenere  una

          stanza,  una  sola  ma  in  muratura,  e  la  si  aggiustò  graziosamente,  e  lì
          nacquero  i  miei  bambini  perché  la  vita  deve  continuare  sì  o  no?  Ci
          eravamo come rassegnati, capisci, solo quella notte io mi resi conto che
          non  si  poteva  continuare  così.  Era  una  notte  come  tutte  le  altre.  Mi
          svegliai,  e  vidi  la  roba  ammucchiata,  il  letto  che  non  era  un  letto,  e

          ripensai alla bella casa di Hebron, e mi resi conto d’aver perso tutto: il
          mio letto, la mia casa, la mia dignità. E mi dissi per questo è morto mio
          padre, per la vergogna, e capii che bisognava combattere per riavere il

          mio letto, la mia casa, la mia dignità.»
             «E lo facesti, Abu Giacobbe?» «No, subito no. Accadde dopo, nel 1967,
          quando gli israeliani presero anche il resto della Palestina e passarono il
           ume Giordano. Io in quei giorni facevo il camionista ad Amman. Portai
          il camion  no al ponte Allenby e siccome non mi fecero passare dovetti

          gettarmi  in  acqua,  raggiungere  l’altra  sponda  nuotando,  mentre  mi
          sparavano  addosso.  E  giunsi  al  campo  che  era  mezzo  distrutto  dai
          bombardamenti, e nella stanza mia moglie non c’era. E per tutto il giorno

          la cercai senza trovarla e poi la incontrai per caso nella scuola cattolica di
          Terra  Santa.  Insieme  ai  bambini.  E  mi  disse  che  l’artiglieria  israeliana
          aveva sparato per ore sul campo, tanta gente era morta e lei era scappata
          quaggiù  pensando  che  non  avrebbero  mica  sparato  in  una  chiesa  che
          apparteneva  a  Gesù.  Però,  mentre  diceva  così  proprio  in  mezzo  alla

          chiesa, arrivò una bomba al napalm e anche la scuola andò a fuoco. Io
          non  volevo  partire  perché  non  volevo  ripetere  ciò  che  aveva  fatto  mio
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