Page 62 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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arrivarono col cibo che, mentre interrogavo Abu Asham, avevan
preparato per noi. Melanzane fritte, fagioli lessi, insalata di pomodori e
di porri, montone arrostito e pane arabo: quello schiacciato, a frittella. Il
cibo era contenuto in scodelle di latta e le scodelle furono poste per terra
insieme a bicchieri di tè dolcissimo e caldo. Abu Mazim fu il primo a
in lare le dita tra i fagioli. Poiché esitavo, ironizzò: «Qui non esiston
forchette, si mangia con le mani. Ha mai mangiato insieme a… Come ci
chiaman da voi? Terroristi, mi pare. Ha mai mangiato insieme a dei
terroristi?». «Molti anni fa, Abu Mazim. Da bambina, in Italia.
Quando combattevamo i tedeschi.» La risposta gli piacque, farlo parlare
non fu di cile. Come condizione pose soltanto di esprimersi in arabo
perché tutti ascoltassero. Ormai l’intera base s’era svegliata e i dayn
gremivano il pianerottolo in le concentriche, irte di fucili e luccicanti di
occhi. Non vedevi che gli occhi, su quei volti imbacuccati dal kassiah, e
per mangiare abbassavano appena un lembo di sto a che subito
ritiravano su. «Posso chiederle qualsiasi cosa, Abu Mazim?» «Sì, meno
l’ubicazione di questa base. In fondo c’è poco che lei potrebbe svelare al
signor Moshe Dayan e che il signor Moshe Dayan non conosca già, grazie
alle sue spie.» «Moshe Dayan non vi stima molto. Dice che non può
grati carvi col nome di guerriglieri. Dice: non sono degni d’essere
paragonati ai vietcong, non valgono nulla.» Restò impassibile.
«Moshe Dayan mente sempre, e ha un occhio solo. I suoi soldati non la
pensan così, hanno terrore di noi. Chieda a Moshe Dayan che è successo
negli ultimi giorni a El Hussob, a Neot Hakikan, a Sodoma dove c’era
quella fabbrica di potassio. Ora non c’è più. Gli chieda cosa è successo
all’impianto elettrico di Sodoma quando son rimasti al buio. S’era messo
una benda anche sull’occhio sano?» I dayn scoppiettarono un’unica
risata soddisfatta.
I dayn di questa base erano una trentina, ma pochi membri
permanenti. Una volta al mese, e anche ogni quindici giorni, rientravano
in città e venivano sostituiti da elementi freschi: tale avvicendamento
consentiva di portare in azione uomini mai stanchi e mai malati. Le
azioni avvenivano con una frequenza di due o tre per settimana e
consistevano in attacchi a pattuglie motorizzate o a piedi, piazzamento di
mine lungo le strade e i campi militari, bombardamenti ai kibbutz e ai
centri industrali, uccisioni separate dette caccia all’uomo, cattura di
prigionieri. In genere vi partecipavano gruppi di sette otto uomini, ma
v’erano casi in cui l’intera base partiva: ad esempio quando c’era da
impegnarsi in una vera e propria battaglia. Le perdite non risultavano
eccessive come si credeva in Europa: in media, un morto per azione. A
parte gli eventuali feriti. Se un dayn moriva, Al Fatah provvedeva alla