Page 61 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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non si fermeranno mai, verranno avanti, sempre più avanti. Bisogna
fermarli, bisogna difenderci. Gli altri popoli arabi non fanno nulla per
noi, bisogna fare da noi. Così annunciai a mio padre che sarei diventato
dayn.» «E tuo padre che disse?» «Impallidì. Avevo solo quindici anni,
rispose: sei appena un bambino, devi nire la scuola. Ma io gli promisi
che avrei fatto entrambe le cose, e le feci. Le fo ancora, sai? Sto quindici
giorni a scuola e quindici giorni alla base. Mi preparo per l’università,
voglio iscrivermi a scienze politiche.» «Abu Asham, da quanto tempo sei
qui?» «Da sei mesi. Prima c’è stato un anno di addestramento e poi
quell’anno in città.» «Quando sei stato in missione l’ultima volta?» «Tre
notti fa. Dovevamo attaccare due Land Rover israeliane, distruggerle, e
poi piantare alcune mine. Loro le mettono a noi ma anche noi le
mettiamo a loro, sai?»
«La missione è riuscita, Abu Asham?» «Sì. Le Land Rover sono esplose e
loro sono morti tutti. Noi invece siamo tornati indietro. Tutti e sei.
Eravamo sei.» «Hai avuto paura. Abu Asham?» «Non ne ho più, giuro. Ci
ho fatto l’abitudine, ormai. Le prime due volte sì, all’inizio è terribile. Ci
vai rassegnato a morire. Perché tanti muoiono, sai. La prima volta si
trattava di attaccare una colonna di automezzi israeliani. Mi dette
coraggio il più giovane del nostro gruppo, e aveva solo quattordici anni.»
«Questa vita ti piace, Abu Asham?» «È dura, molto dura. Ti mancano tante
cose. Ma non c’è scelta.
O si vive così o si vive senza onore. Bisogna…» Si gettò di colpo sul
lume a petrolio e lo spense. «Che c’è, Abu Asham?» «Niente. Un
ricognitore. Succede tutte le notti.» «E poi?» «Niente. A volte buttano
bombe, però non è ancora successo che ci colpissero, e abbiamo i rifugi.
Vedi, lì ci sono trincee.» I cani eran tornati ad abbaiare, sull’aia c’era un
gran scalpiccio e qualcuno s’era messo alla mitraglia antiaerea che
puntava le canne verso il cielo. Ma presto il ronzio dei ricognitori sparì e
Abu Asham riaccese il lume a petrolio. La ammella si alzò illuminando
un giovanotto che prima non c’era.
Era un giovanotto di circa trent’anni, vestito in uniforme. Le braccia
conserte, le gambe incrociate, ci osservava senza cordialità alzando un
volto che ricordava straordinariamente l’attore Omar Sharif: ba oni neri,
naso imperioso, pelle scura e occhi intensi, sporgenti. Con voce gelida
chiese ad Abu Abed di mostrare i fogli del lasciapassare, li lesse e su quello
rmato da Abu Lotuf sorrise un sorriso di denti bellissimi e bianchi, poi
parlò in inglese. «Benvenuti alla mia base, sono il comandante Abu
Mazim. Signi ca Pioggia, credo, Fertilità… Avete mangiato? No certo. E
un palestinese non ammette di ricevere ospiti senza farli mangiare.»
Mosse una mano lunga, delicata, da pianista. Subito due dayn