Page 56 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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tenerezza in cuore mi chiesi cosa induce un uomo a far questo. Un uomo
          che non v’è costretto da una cartolina di richiamo, né da un partito, né da

          un generale…
             Cos’è che li fa diventare fidayn?
             Tre giorni avanti io avevo già posto questa domanda a qualcuno. Era
          successo in un campo di addestramento sulle colline di Amman: durante
          una manovra cui m’avevan permesso di partecipare e in cui un ragazzo

          era rimasto ferito. La manovra era diretta da un u ciale che passava le
          linee «almeno quattro volte al mese» e spesso era giunto  no a Tel Aviv.
          Si chiamava Giacobbe, colpiva per un volto so erente, scavato, da Gesù

          Cristo: aveva anche i capelli rossi, la barbetta rossa, come Gesù Cristo. E
          gliel’avevo detto e m’aveva risposto: «Sono anch’io un Gesù Cristo. Sulla
          croce ci avevano messo anche me, solo che io sono sceso, e ho imparato a
          usare  il  fucile,  le  bombe  a  mano,  i  katiuscia,  per  ammazzare  gli  altri».
          Allora gli avevo chiesto com’è che un Gesù Cristo scende dalla croce per

          ammazzare gli altri, e lui mi aveva risposto così.
             «Noi s’era contadini, capisci, e si possedeva un bel po’ di terra sotto i
          monti  di  Hebron.  Mio  padre  l’aveva  ereditata  da  suo  padre  che  l’aveva

          ereditata da suo padre anche lui e via dicendo. Ci si aveva le vigne, e gli
          olivi, e si faceva l’olio, e il vino, e si coltivava la frutta:  chi, melograni e
          albicocchi.  E  poi  si  faceva  il  formaggio  e  si   lava  la  lana  perché  si
          possedeva una trentina di pecore e dodici capre. E s’era felici.
             Perché non ci mancava nulla e la casa aveva anche tre camere per farci

          dormire gli amici in caso di bisogno, e la domenica si andava al villaggio
          per passeggiare in piazza e pregare dentro la moschea. Ma venne il 1948
          e tutto  nì. Era estate, ricordo, mi pare luglio. Io avevo tredici anni, il

          mio secondo fratello ne aveva otto e il mio terzo fratello ne aveva sei. E
          vennero i loro aeroplani e ci buttaron le bombe proprio sul villaggio, sui
          campi, e tanti morirono e si dovette scappare sui monti. E si rimase una
          settimana sui monti, poi si tornò perché tutto sembrava  nito, ma s’era
          appena  tornati  che  loro  ci  bombardarono  di  nuovo,  e  non  solo  con  gli

          aeroplani, anche con l’artiglieria. E altri morirono, tanti. E poi arrivarono
          i loro commandos, e ci fecero uscire dalle case e si misero a minare le case
          che  saltavano  in  aria  con  la  roba  dentro.  Non  le  minarono  tutte  e  mio

          padre  voleva  prendere  un  poco  di  roba  prima  che  facessero  saltare  la
          nostra,  ma  loro:  “Via,  via!  Partire,  partire!”.  E  ci  mandarono  via  senza
          farci prendere nulla, neanche una valigia, neanche un paio di scarpe, io
          ero  scalzo  e  non  potevo  camminare:  sentivo  male  ai  piedi.  Si  lasciò
          per no sessanta giare di olio che era il raccolto dell’anno, seicento chili

          all’incirca,  ed  alla  mia  mamma  non  permisero  di  agguantare  il  velo
          sebbene sapessero che per una mussulmana è terribile non coprirsi il viso
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