Page 60 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Abed si allontanò in cerca del comandante. Abu George, invece, si
congedò dicendo che rientrava ad Amman: l’incalzar della nebbia lo
avrebbe aiutato. Non successe nulla per qualche minuto, fuorché star lì a
guardare i dayn che dormivano distesi per terra: e per terra c’era una
coperta e basta. Sembravano tutti giovanissimi, poco più che bambini.
Quasi nessuno vestiva l’uniforme ma invariabilmente calzavano
scarponi da soldato, identici a quelli che portano gli americani in
Vietnam. Accanto avevano il loro fucile, ora un Carlov e ora un
kalashnikov. Un ragazzo lo stringeva alla canna come se temesse
d’esserne derubato nel sonno. D’un tratto si svegliò, mi vide, saltò in piedi
e ne tolse la sicura: fissandomi con aria interrogativa. «Sahafa, stampa» lo
rassicurai. Rimise la sicura e sorrise: «Alaikum Salam, la pace sia con te».
Avrà avuto diciassett’anni, diciotto: sulle sue guance non era mai cresciuta
la barba. Il volto era pallido, secco, severo; le mani erano lisce e curate.
Mi sedette accanto, mormorò in inglese: «Mi chiamo Abu Asham. E tu?».
Glielo dissi, aggiunsi da dove venivo, mi ssò con espressione incredula.
«Vuoi dire che in Italia sanno di noi?!» «Certo, Abu Asham.»
Balzò in piedi e svegliò gli altri: «Qoom, qoom! Alzati, alzati!». Gli altri
si alzarono, svelti, a errando il fucile, ma quando seppero di che si
trattava tornarono brontolando a dormire. Solo tre lo seguirono,
acconciandosi il kassiah, e si misero a chiedere qualcosa ad Abu Asham.
«Cosa vogliono, Abu Asham?» Indicò Moroldo: «Voglion sapere perché tuo
marito ti porta in un posto così pericoloso di notte». «Digli che non è mio
marito.» «Non è tuo marito?!» «No. Viaggiamo insieme perché lavoriamo
insieme, io scrivo e lui fa le fotogra e.» «Non è possibile.» «Sì, che è
possibile.» «Non sta bene.» «Come non sta bene?» Gli altri gli tiravan la
manica, impazienti d’aver la risposta. Abu Asham gliela dette e i loro
occhi si spalancarono increduli: «La?!?
No?!?». Ci ssarono un poco, una la di occhi a ogati tra le pieghe del
kassiah, poi si alzarono e tornarono zitti a dormire.
«Vorrei farti alcune domande, Abu Asham.» Abu Abed ci aveva
raggiunto e si o riva da interprete perché l’inglese di Abu Asham
zoppicava un po’ troppo. «Va bene.» «Abu Asham, perché sei qui?» «Devo
prima spiegarti chi sono. Sono il glio di un palestinese che fuggì nel
1948, quando loro inventarono Israele. Sono nato in un campo di
profughi, al Libano. Quindi sono qui per tornare nella mia patria e
riportarci mio padre. Lui faceva il ferroviere, guidava il treno che da
Gerusalemme portava a Gia a. Voglio che torni a guidare quel treno.» «E
quando lo decidesti, Abu Asham?»
«Tre anni fa, dopo la guerra di giugno. Ci presero anche il resto della
Palestina, nuovi profughi giunsero al campo. Mi misi a pensare, mi dissi: