Page 347 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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La fuga disperata del prigioniero iracheno




             Tra tto  da  dodici  pallottole  si  lamentava  in  una  corsia  dell’ospedale
          Mubarak, quello dove hanno messo i feriti catturati negli ultimi giorni, e

          anziché a una guerra lo avresti detto scampato a un campo di sterminio
          come Mauthausen e Dachau. Per la denutrizione il suo volto sembrava un
          teschio col naso e gli occhi, sulla sua cassa toracica le costole emergevano
          così a  or di pelle che potevi contarle una ad una, e le sue braccia erano

          così scheletriche che una mano infantile sarebbe bastata a circondarne i
          bicipiti. Ma soprattutto pareva un vecchio. Un vecchio così vecchio che a
          guardarlo  ti  chiedevi  se  fosse  davvero  un  prigioniero  iracheno,  se  non
          fosse piuttosto un kuwaitiano messo per sbaglio tra i prigionieri iracheni.

          Mi avvicinai. Attraverso l’interprete gli chiesi se voleva parlarmi. Con un
           lo di voce mi rispose di sì, e allora misi in moto il registratore. Ciò che
          segue è la trascrizione di ciò che dicemmo.


             ORIANA FALLACI. Quanti anni hai, soldato?

             DAKÈL ABBAS. Ventuno, Insciallah, ventuno. Ohi, ohi, che male! Ohi,
          ohi!


             Ventuno?!?

             Sì, ventuno, ventuno… Sono nato nel 1970… Ohi, ohi, che male! Ohi,

          ohi!

             Come ti chiami, da dove vieni?


             Dakèl Abbas, mi chiamo Dakèl Abbas. Vengo da un villaggio vicino alla
          città di As Samawah… Oddio, Iahallah! Ohi, ohi!

             Vuoi che me ne vada, Dakèl, ti disturbo?


             No,  non  te  ne  andare.  Sono  così  solo!  Eppoi  se  parlo  penso  meno  al
          dolore… Guarda come mi hanno conciato, guarda! Alla spalla destra, alla
          spalla sinistra. Al  anco destro, al  anco sinistro. Alla gamba destra, alla

          gamba sinistra. A un braccio, a una mano… Dodici buchi mi hanno fatto,
          dodici…  Eppure  Abdul  la  sventolava  la  bandiera  bianca.  S’era  levato  le
          mutande bianche, le aveva  ssate a un bastone, e le sventolava gridando:
          «Non sparate! Ci arrendiamo, non sparate!».
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