Page 345 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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E per ringraziarci ci avevano instaurato per no un posto di blocco. Anche
          se  passavamo  dal  marciapiede  opposto,  ci  saltavano  addosso  per

          perquisirci. Donne incluse. Anzi le donne le perquisivano più volentieri.
          Per palpeggiarle». Oppure: «Quei delinquenti.
             Finora se la sono cavata perché qui ci sono gli inglesi e gli americani.
          Ma appena partono loro, li ammazziamo tutti».
             Non  a  caso  gli  inglesi  e  gli  americani  si  sono  precipitati  a  riaprire  le

          ambasciate  e  due  ambasciatori  sono  giunti  in  città  prima  che  ci  fosse
          qualcuno a cui presentare le credenziali. E non a caso il primo gesto che
          hanno  compiuto  è  stato  convocare  i  capi  dell’esercito  e  della  resistenza

          incaricati di controllare la città ancora abbandonata a se stessa: pregarli
          di tenere gli occhi bene aperti.
             V’è  insomma  l’orrendo  pericolo  che,  prima  d’una  guerra  civile  simile
          alla  guerra  civile  che  sconvolse  Beirut  negli  anni  Settanta,  avvenga  un
          massacro sul tipo di quello che avvenne a Sabra e Chatila otto anni fa. Lo

          ammette  anche  Sulaiman  Mutawa,  il  ministro  della  Piani cazione  che
          domenica scorsa è giunto col ministro della Sanità per preparare l’arrivo
          del principe reggente Saad Abdullah Al Sabah. (L’emiro Jabel Al Ahmad Al

          Sabah  continua  a  starsene  nel  dorato  esilio  di  Taif  e  sembra  che  abbia
          poca  voglia  di  ritornare  perché  la  sua  residenza  è  stata  saccheggiata  e
          vivere  in  modo  spartano  non  gli  è  mai  piaciuto.)  «Sì,  è  vero,  l’orrendo
          pericolo esiste: non posso negarlo. Esiste perché i kuwaitiani sono troppo
          arrabbiati, e perché non tutte le armi lasciate dagli iracheni sono  nite

          nelle  mani  dei  palestinesi.  Moltissime  sono  state  prese  dai  nostri.  E  se
          oggi  le  usano  per  sparare  in  aria,  esprimere  gioia,  domani  potrebbero
          usarle per sparare sui palestinesi. La legge marziale gli vieta di tenerle,

          ovvio,  chiunque  venga  sorpreso  con  un’arma  in  casa  o  in  mano  viene
          arrestato. Ma indurli a consegnarcele non sarà facile. Immagino già quel
          che  ci  diranno:  “Se  non  le  consegnano  i  palestinesi,  perché  dovremmo
          consegnarle  noi?”  dovremo  attendere  che  si  convincano.  Inoltre  il
          problema non riguarda soltanto chi ha preso le armi per sparare in aria,

          esprimere  gioia.  Riguarda  anche  chi  è  stato  nella  resistenza  e  protesta:
          “Dopo tanto so rire, è questo il premio che ci date?”.» Ciò che Sulaiman
          Mutawa non ammette è che la resistenza è stata una realtà da dimostrare,

          e a tale realtà appartengono gruppi troppo ansiosi di compiere imprese
          mai compiute a spese degli iracheni. Un gruppo è quello detto Al Fohood,
          Leopardo, e guidato da Ahmed e Advì Al Sabah:  gli del defunto Fahed Al
          Sabah,  fratello  dell’emiro  Jabel  e  del  principe  reggente  Saad  Abdullah.
          Era un personaggio bizzarro, Fahed Al Sabah: una specie di Rambo ante-

          litteram.  Aveva  combattuto  nel  Sinai  con  gli  egiziani,  a  Beirut  con  gli
          arafattiani, nella guerra contro l’Iran con gli iracheni, e  no al 2 agosto
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