Page 340 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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morto»  le  dico  pensando  al  kuwaitiano  che  vestito  del  thobi  azzurro
          ricamato d’oro si baloccava con la mitragliatrice dell’autoblindo e cercava

          di  sapere  come  funzionasse.  «Ne  sono  morti  così  pochi  dei  kuwaitiani
          arruolati nell’esercito kuwaitiano. Anzi, credo nessuno. Nella battaglia per
          liberare il Kuwait i morti sono stati quasi tutti soldati americani.» «Really,
          davvero?»  esclama  Leila,  sorpresa.  Poi  si  china  sulla  donna  col  volto
          completamente  coperto  dal  velo,  la  informa  che  nella  battaglia  per

          liberare  il  Kuwait  i  morti  sono  stati  quasi  tutti  soldati  americani,  e  la
          donna  si  abbandona  a  gesti  scomposti  di  giubilo.  Si  mette  a  urlare,
          estasiata: «Allah akbar, Dio è grande, Allah akbar!». E le urla durano  no

          al momento in cui tutti si mettono a correre verso il centro dello spiazzo
          dove accade qualcosa che non capisco.
             Corro anch’io, insieme a Leila, e ben presto capisco.
             I tre miliziani hanno catturato il soldato iracheno che non esisteva. Lo
          hanno  portato  ai  militari  sauditi  raccolti  per  la  cerimonia,  e  la  gente

          vorrebbe linciarlo. Mi avvicino, lo guardo. È un omino sui quarant’anni,
          dal  volto  emaciato  e  olivastro,  i  ba   spruzzati  d’argento,  l’uniforme
          semistrappata.  È  ferito  alla  testa,  probabilmente  i  suoi  compagni  lo

          hanno abbandonato per questo, la sua testa fasciata da una garza sudicia
          e incrostata di sangue, i suoi occhi sono un pozzo di paura. Per la paura
          non  riesce  a  bere  il  bicchier  d’acqua  che  i  militari  sauditi  gli  hanno
          o erto.  «You  think  this  man  the  man  who  killed  my  brother,  pensi  che
          quest’uomo  sia  l’uomo  che  ha  ucciso  mio  fratello?»  mormora  Leila

          riprendendo a singhiozzare. «No, non lo penso» rispondo portandola via.
          Sono  le  quattro  del  pomeriggio,  dal  suo  esilio  dorato  l’emiro  ha  fatto
          sapere  che  tornerà  per  instaurare  la  legge  marziale,  il  debole  raggio  di

          sole  s’è  spento  e  il  sudario  di  buio  s’è  fatto  più  buio,  il  sospetto  che
          qualcosa  non  quadri,  che  nel  martirio  o  supposto  martirio  del  Kuwait  i
          conti non tornino s’è raddoppiato, e la guerra sta per finire.
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