Page 343 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Quelli della Brigata araba invece partecipavano alle operazioni di
polizia e ai rastrellamenti. Installavano posti di blocco accanto ai posti di
blocco iracheni e armati di kalashnikov ci arrestavano. Nel migliore dei
casi, ci costringevano a consegnargli l’automobile o il portafoglio. E se ci
opponevamo eran botte. Insulti e botte. Io avevo quasi più paura di loro
che degli iracheni.» E Khalifa Al Ghanin, direttore di una ditta di
computer: «D’accordo, non tutti si sono messi con gli iracheni. Alcuni
hanno avuto addirittura rapporti con la resistenza e ci hanno protetti. Ci
hanno messi in salvo. Ma i più si sono comportati davvero male, e non
capirò mai perché. Perché? Noi kuwaitiani siamo sempre stati buoni con
loro: è dal 1947 che li teniamo qui e gli diamo lavoro, alloggio, scuole
gratis, assistenza medica gratuita, oltre tutto senza fargli pagare le tasse.
Grazie a noi molti sono diventati ricchi e chi non è diventato ricco ha
potuto condurre una vita dignitosa. Non sotto le tende come in Giordania
o dentro baracche puzzolenti come in Libano. Non li abbiamo mai
discriminati. Non li abbiamo mai trattati come cittadini di seconda classe.
Abbiamo dato loro posti direttivi nelle banche, cattedre nelle università, e
Arafat lo sa bene, visto che ha vissuto per anni nel Kuwait, che ci ha
lavorato come ingegnere. Quindi perché si sono comportati a quel modo?
Perché hanno stretto alleanze coi nostri carne ci? Alcuni rispondono:
“Perché si illudevano che Saddam Hussein gli restituisse la patria che
hanno perduto”. È una risposta che non mi basta e temo che l’unica
spiegazione sia nell’ingratitudine che dimostrano verso tutti, nell’odio che
hanno per tutti e in particolare per chi è così sciocco da pianger su loro.
Pensi a come sono bene armati, anche ora che la guerra è finita».
Non esistono dubbi neanche sul fatto che siano ben armati, che alla
sciocchezza di mettersi con Saddam Hussein abbiano aggiunto quella di
prepararsi a una guerra civile simile alla guerra civile che negli anni
Settanta sconvolse Beirut.
Quando gli iracheni sono fuggiti hanno preso buona parte delle armi
abbandonate nelle caserme, e ora posseggono migliaia di fucili. Migliaia
di mitragliatori, di mitragliatrici, di mortai, di Rpg, tonnellate di
munizioni. Ogni loro casa è un arsenale, sostiene il colonnello
Muhammad, capo della polizia di Jabril. Quel che è peggio, aggiunge,
continuano ad esser legati coi membri della Brigata araba che non sono
ripartiti, e con lo stesso Abu Abbas. Lo stesso Abu Nidal. «Naturalmente
potremmo sbagliarci, ma siamo in contatto con servizi segreti che la
sanno più lunga di noi e abbiamo ottime ragioni per ritenere che Abu
Abbas sia rimasto qui. E forse anche Abu Nidal. Forse anche Carlos, il
terrorista di cui da molto tempo non si sentiva parlare.
Comunque una cosa è certa» conclude passandomi la fotogra a di un