Page 335 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Festa a Kuwait City




             Kuwait City è rimasta al buio nel giorno della sua liberazione. Non solo
          perché  manca  l’elettricità.  La  nuvola  di  fumo  nero  che  sale  dai  pozzi

          oscura  il  cielo,  anche  a  mezzogiorno.  Sotto  la  cappa  pesante  hanno
          festeggiato insieme liberatori e liberati.
             Sull’autostrada che porta a Kuwait City non si vedono che carri T 55 e
          veicoli  abbandonati  senza  benzina  dagli  iracheni.  Tutti  strapieni  di

          televisori, computer, soprammobili, abiti, coperte.
             I militari sauditi sui loro carri armati ai lati della strada agitano il loro
          fucile in aria, facendo il segno della vittoria e posano per i cameramen e i
          fotogra  stranieri. Alcuni non hanno neanche l’uniforme completa: invece

          della giacca militare hanno magliette colorate, e al posto degli scarponi
          ciabatte o scendiletto.
             Per  le  strade  la  gente  sventola  bandiere  nuove  di  zecca,  kuwaitiane,
          americane,  inglesi  strillando  festosi:  «Thank  you  American,  grazie

          americani!». Oppure: «Bush!
             God save Bush».
             Ma  nella  festa  c’è  chi  piange  i  morti,  i  parenti  che  sono  spariti.  Chi
          ricorda  le  atrocità  viste  o  subite.  I  segni  della  distruzione  sono  visibili:

          all’hotel  Sheraton  e  al  Meridien  gli  iracheni  hanno  appiccato  il  fuoco
          prima di partire. Il Sief Palace, il palazzo del governo, è crollato.
             Anzitutto,  il  sudario  di  buio  che  stagna  sulla  città.  Da  ogni  pozzo  in
           amme  (e  sono  ormai  500  i  pozzi  di  petrolio  che  gli  iracheni  hanno

          incendiato) si alza un imbuto di fumo nero, alzandosi va a mischiarsi con
          gli altri 499 imbuti, diventa una nuvola nera che da est a ovest e da nord
          a  sud  si  stende  in  un  sudario  di  buio,  e  il  sole  non  passa  neanche  a
          mezzogiorno.  Poi  lo  sgradevole  sospetto  che  qualcosa  non  quadri  in

          questa faccenda, che nel martirio o supposto martirio del Kuwait i conti
          non  tornino,  che  molte  bugie  o  esagerazioni  siano  alla  base  delle
          raggelanti  notizie   ltrate   n  ad  oggi.  (La  strage  dei  neonati  tolti  dalle
          incubatrici, gli stupri quotidiani, gli omicidii individuali, le esecuzioni in

          massa  avvenute  nelle  ultime  ore,  e  le  distruzioni  compiute  dalla
          soldataglia prima della fuga.) Il sospetto ti coglie appena il pullman coi
          pochi  giornalisti  autorizzati  ad  entrare  imbocca  il  tratto   nale  della
          Fahaheel expressway: l’autostrada che conduce alla capitale. Che anziché

          un  esercito  di  assassini  alla  Hitler  quello  di  Saddam  Hussein  fosse  un
          esercito di volgarissimi ladri anzi di saccheggiatori? Certo i morti ci sono
          stati, le atrocità sono avvenute, anche nelle ultime ore, ma sulla Fahaheel
          non  si  vedono  che  carri  T55  e  veicoli  abbandonati  per  mancanza  di
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