Page 226 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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dietro i loro incubi. E tuttavia…
             Tuttavia  non  tornerei  mai  in  Italia.  No.  Mi  sento  così  israeliano  che

          per no a casa, con mia moglie, parlo ebraico. Lo decisi  n dall’inizio: pei
           gli,  per  l’unicità.  Infatti  i  miei   gli  parlano  solo  l’ebraico;  il  poco
          italiano  che  sanno  l’hanno  imparato  quando  sono  andati  a  far  visita  al
          nonno e sono rimasti un po’ di tempo con lui, incantati dai monumenti e
          dalle  Dolomiti.  Dirò  di  più:  mi  dispiace  che  alcuni  italiani  di  Israele

          parlino italiano fra loro. Io ne ho portati tanti, qui, dopo la guerra: era il
          mio lavoro organizzare l’emigrazione. E a ciascuno ho detto che, appena
          giunti  qui,  dovevano  parlare  ebraico  perché  il  loro  paese  non  era  più

          l’Italia: era Israele.
             Se  con  questo  ho  mai  avuto  la  sensazione  di  portar  via  la  terra  agli
          arabi? Sì. Più che la terra, la patria. Come diceva Enzo Sereni, noi e gli
          arabi siamo due popoli che hanno entrambi diritto a stare su questa terra
          chiamata Palestina ed Herez Israel o Israele. Io ripeto spesso: «Questo è

          anche il loro paese. Sono nati qui, gli arabi. E a loro non importa nulla se
          duemila anni fa c’erano gli ebrei». Però questo è anche il nostro paese: c’è
          poco da fare. E con itti simili si possono risolvere solo paci camente. È

          una  tragedia  che,  in  trent’anni  di  propaganda,  gli  arabi  abbiano
          sviluppato il loro antisionismo  no al punto di rendere impossibile ogni
          convivenza.  Come  la  metteremo  non  so.  L’avvenire  è  sulle  ginocchia  di
          Giove.  Però  so  che  da  questa  terra  chiamata  Palestina  o  Herez  Israel  o
          Israele non ci muoveremo mai più.


             MILKA USIGLI
             Quando ci fu l’alluvione di Firenze mi si strinse il cuore


             Sono  milanese  di  nascita  ma  dal  ’39  al  ’45  ho  vissuto  a  Firenze  dove
          frequentavo  la  scuola  ebraica  di  via  Farina.  La  mia  era  una  famiglia
          molto assimilata: smise d’esserlo il giorno in cui le leggi razziali mi dissero
          che non potevo andare alla scuola di tutti. Mi colpì perché solo per caso

          avevo  saputo  d’essere  ebrea  e  la  cosa  non  mi  aveva  fatto  né  caldo  né
          freddo. Con le leggi razziali dunque mi fecero scoprire  no in fondo cosa
          signi ca essere ebrei ed io ritrovai l’ebraismo  no al sionismo. Sono qui

          per  questo,  non  perché  mi  premesse  particolarmente  il  kibbutz  e  il
          socialismo.  Ignoravo  per no  che  esistesse  un  libro  detto Capitale.  Del
          socialismo  ne  sentii  parlare  per  la  prima  volta  a  diciassette  anni  e  lo
          interpretai  come  lo  si  interpreta  a  diciassette  anni:  una  tendenza  a
          cambiare  il  mondo  per  renderlo  migliore.  Non  avevo  libri  né

          informazioni. Per anni ero stata chiusa in casa a ricever la notizia che un
          amico era morto, un altro amico era morto… Del kibbutz seppi qualcosa
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