Page 221 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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la patria, e a cercare qualcosa senza sapere cosa. Un gruppo cui
appartenere? Una bandiera in cui creder di nuovo? Ignoravo il sionismo.
Conoscevo vagamente la parola pogrom. Poi, un pomeriggio del 1922,
per caso, entrai in una casa di ebrei che cantavano i canti di Herez Israel.
Ed ebbi un’illuminazione. Capii che il mio destino si identi cava col
destino di un gruppo chiamato popolo ebraico. E incominciai a
interessarmi al sionismo, poi al socialismo; nché le due cose divennero
un’unica cosa.
Sì, accadde così. E mi staccai in ogni senso dall’Italia, smisi anche di
votare.
Contemporaneamente imparai l’ebraico e, nel 1927, feci il primo
viaggio in Palestina.
Non per restarci come Enzo Sereni: per vedere se mi piaceva. Mi
piacque e nel 1930 mi preparai a partire. Nel 1934 ero ormai stabilito a
Ghivat Brenner. Avrei scelto comunque un kibbutz perché capivo che, per
costruire il popolo ebraico, ci voleva una base proletaria. Ma a Ghivat
Brenner c’era Enzo Sereni. E… Certo fu duro per me lavorare di vanga e
abitare sotto una tenda. Avevo già trentanove anni quando incominciai,
ed ero un ingegnere. Cioè, tutt’altro che abituato ai sacrifici e ai disagi.
Inoltre non ero un masochista: l’idealismo non va confuso con il
masochismo. Però nemmeno una volta mi capitò di cedere e, anzi, non
compresi mai perché la mia famiglia fosse rimasta in Italia. Mio fratello
possedeva una fabbrica di maglieria a Ferrara. Era ideo-logicamente
legato ai fratelli Rosselli e la fabbrica era ritenuta un covo di antifascisti.
Io gli scrivevo: «Vieni qui, vieni. Presto in Italia succederà ciò che è
successo in Germania. Salvati». Ma lui non voleva credermi: le sue lettere
parlavano di villeggiatura, di clima, di simili banalità. Così, nel 1937,
rientrai in Italia per scuotere l’albero e, nella speranza che il frutto fosse
maturo, convincere mio fratello a partire. Rientrai in Italia con
l’idroplano: un Savoia Marchetti per dieci persone. C’era una linea aerea
a quel tempo, che congiungeva Tel Aviv a Brindisi: facendo scalo a Rodi.
In due ore si andava da Tel Aviv a Rodi, in cinque ore da Rodi a Brindisi:
il tempo che oggi si impiega per una traversata atlantica. Poi a Brindisi
presi il treno e giunsi a Ferrara urlando: «Ma cosa state a fare qui?! Non
vi accorgete che si va verso la catastrofe?!». Non servì a niente, non mi
credettero. Né mio fratello né gli altri.
Tornai in Palestina solo, scornato, e mi sentivo così solo, scornato, che
andai subito a Giaffa e restituii il passaporto al console italiano. Il console
si offese. Anzi si arrabbiò:
«Dov’era lei durante la guerra?». «Alla guerra, signor console. Ero
ufficiale al fronte.»