Page 218 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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denaro per un tale deserto? I villaggi arabi, intorno, non ci disturbavano
          a atto. Al contrario. Enzo andava spesso da loro e loro venivano spesso

          da  noi,  per  chieder  consigli.  Ponevano  sempre  la  stessa  domanda:  «Voi
          non  avete  un  podestà  che  vi  tiranneggia  e  vi  sfrutta.  Noi  sì.  Cosa
          dobbiamo  fare  per  liberarcene?».  Enzo  cadeva  in  imbarazzo  e  si
          lamentava:  come  spiegar  loro  che  il  nostro  sistema  sociale  era  diverso?
          Racconto il particolare per spiegar che,  no al 1948, i nostri rapporti con

          gli arabi erano eccellenti e nessuno di noi sentiva di portar via la patria
          agli arabi. Al contrario, ci sembrava giusto coltivar quel deserto comprato
          regolarmente  e  ad  altissimo  prezzo.  A  Ghivat  Brenner,  in  principio,

          c’erano  solo  ventotto  persone:  io,  Enzo,  e  ventisei  tra  russi  e  polacchi.
          Vivevamo in una baracca e cinque tende: la sera, prima di andare a letto,
          bisognava  accertarsi  che  fra  i  lenzuoli  non  ci  fosse  una  vipera.  La
          mattina,  prima  di  in larci  le  scarpe  bisognava  stare  attenti  che  dentro
          non ci fosse uno scorpione. D’inverno, quando pioveva, bisognava tener

          l’impermeabile  perché  la  tenda  era  bucata  e  l’acqua   ltrava.  Eppure  ci
          sentivamo  così  felici.  È  incredibile  come  questo  gruppo  di  intellettuali
          borghesi, quasi tutti laureati in lettere e filosofia, nemmeno in agricoltura,

          fosse così felice a fare una vita simile. Io, che ero stata una ragazza ricca
          e  viziata,  toccavo  il  cielo  col  dito:  non  rimpiangevo  mai  le  passate
          agiatezze. L’unica nostalgia che provassi riguardava l’automobile.
             Camminare m’è sempre costato fatica.
             No: a Ghivat Brenner non vennero molti italiani, in quegli anni. Solo

          Nino Hirsch ci raggiunse nel 1933, mi sembra. Nel 1932 arrivò anche un
          gruppo  di   orentini  tra  cui  Augusto  Levi,  i  due  Sinigaglia,  i  quattro
          Ottolenghi: ma erano molto religiosi e si fermarono in kibbutz religiosi, o

          a  Tel  Aviv.  Inoltre  la  grande  ondata  si  veri cò  nel  1938  e  bisogna
          ammettere che anche quell’anno la maggioranza degli ebrei italiani fece
          un’altra  scelta:  l’antifascismo.  Cioè  l’assimilazione.  Enzo  manteneva
          contatti continui con loro. Teneva, ad esempio, una  tta corrispondenza
          con  Carlo  e  Nello  Rosselli.  Ma  non  sempre  servì.  Voglio  dire:

          indiscutibilmente  fu  Enzo  che  tracciò  la  strada  agli  ebrei  italiani  che  in
          seguito vennero qui, ma all’inizio lo ascoltarono in pochi. Forse perché il
          suo  lavoro,  all’inizio,  si  concentrò  piuttosto  in  Germania:  vivevano  solo

          35.000 ebrei in Italia, ben 600.000 in Germania. Nel 1930 Enzo andò a
          Berlino per organizzare il movimento giovanile sionista, e vi rimase due
          anni. Dopo l’avvento di Hitler ci tornò di nuovo e fu allora che portò in
          Palestina migliaia e migliaia di ebrei tedeschi. In seguito fece lo stesso in
          Egitto,  in  Siria,  in  Iraq.  Ma  non  perché  si  sentisse  staccato  dall’Italia,

          bensì perché in Italia il problema era meno impellente e meno avvertito.
             Enzo  amava  pazzamente  l’Italia,  vi  era  legato  in  ogni  senso.  Il  suo
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