Page 223 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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fondo all’anima, ho quel rancore. E spesso mi chiedo se,
involontariamente, l’ho trasmesso ai miei gli. I miei gli infatti non
hanno più alcun legame con l’Italia. Quello di trentaquattro anni, che è
ingegnere aeronautico a Halifax, non parla quasi italiano. Parla
benissimo l’inglese e il francese, non l’italiano. L’altro di trentadue anni,
lo stesso. E i miei nipoti non sanno nemmeno cosa signi chi la parola
«ciao».
MARCELLO SAVALDI
Chi pensava che avremmo messo insieme un paese così? alla svelta?
Io rappresento un caso che è il caso dei più. La mia famiglia, infatti,
non era coscientemente ebrea. Mia madre veniva da Verona e da un
gruppo completamente assimilato, mio padre discendeva da austro-
ungarici trasferiti a Trieste ma del tutto italianizzati. Mazzini, Cavour,
Garibaldi, eccetera. Ero stato educato nel culto della patria e
dell’antifascismo. Il mio maestro era uno scrittore che si chiamava Giani
Stuparich. Però, quando mio padre si trasferì da Trieste a Milano e venne
il momento di iscrivermi all’università, mi trovai molto incerto.
Ideologicamente confuso. Così mi iscrissi a legge, la facoltà di quelli che
non sanno cosa fare, e poi mi misi in cerca. Di cosa, non so. Avevo sentito
parlare di mistica fascista: andai a seguire le lezioni di mistica fascista. Mi
accorsi subito di che si trattava e me la detti a gambe: per cercare altrove.
Durante la fuga trovai un circolo giovanile ebraico di cui faceva parte
Lucio Luzzatto, l’ex-deputato del PSIUP, un giovanotto Saias che ora è
regista teatrale nell’America Latina, le sorelle Maranini. Tipi svegli,
intelligenti, e sionisti. Mi piacquero e, poiché conoscevo bene il tedesco,
cominciai a leggere la letteratura sionista che allora esisteva solo in
tedesco. E diventai sionista anch’io. Mia madre se ne lagnava. Ma allo
stesso tempo aveva tanta paura che mi legassi agli antifascisti e rischiassi
di nire in galera che accettò il consiglio di mia cugina: «Sta’ contenta,
ghe l’ha trovato un rampin!», un gancio.
Quel gancio e quegli anni giovanili furono decisivi per me. Scoprii in
quegli anni che essere ebreo non è un’opinione ma un fatto. Perché essere
ebreo signi ca esser diverso, ed è questo che insegno ai giovani giunti in
Israele dalla Russia. I giovani che rimpiangono Mosca, che rimpiangono
Kiev. Gli dico: «Perché non sei rimasto nella tua bella Kiev? Te lo spiego
io perché: perché sei ebreo, diverso». Bè, è possibile che un giorno non si
chieda più alla gente chi-sei-e-cosa-sei, ma al cosmopolitismo io non ci
credo e quando Luzzatto ripeteva «io sono come gli altri, mio nonno era
garibaldino», replicavo: «Benissimo. Tuo nonno era garibaldino ma tu