Page 225 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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mi piacque. Quando egli mi chiese cosa avessi deciso, risposi: «Ho deciso
di sposarmi e venire qui». E allora lui mi consegnò una lettera, ed era la
lettera di licenziamento, e mi prese paura. Perché mi cacciavano dopo
avermi dato il permesso? Forse perché non m’ero mai iscritto al partito?
Forse perché stavo per sposare la glia di un antifascista condannato alla
prigione e al con no? Anziché rientrare in Italia, scrissi a Milano di
interrogare il mio capu cio. Lo interrogarono e la risposta fu: «La sua
mancanza di italianità non lo rende degno di rappresentare la patria
all’estero». Rientrai a Milano, allora, e scoprii il resto: sul «Popolo
d’Italia» era apparso un articolo di Mussolini contro «questi-ebrei-che-
occupano-i-posti-chiave-nelle-assicurazioni». Il direttore non mi voleva più
per quello, e: «Bravo, bravo! Lei fa proprio bene ad andare in Palestina! È
giusto che i giovani ebrei vadano in Palestina».
Era il gennaio del 1939 e il kibbutz che avevo scelto era Ghivat
Brenner.
Non mi chiesi se la vita del kibbutz mi si adattasse o no. Nel frattempo
eran scoppiate le leggi razziali, in Italia, e non era più il caso di porsi
domande sottili: un ebreo stava meglio a Ghivat Brenner che a Milano.
Forse è più giusto dire che il kibbutz era ciò che cercavo: per venire qui,
stare qui, bisogna essere ottimisti. E io ero ottimista. Lo sono ancora.
Naturalmente, avendo cinquantanove anni, sono giunto alla conclusione
che non tutto si realizza nella vita: quindi non siamo riusciti a costruire la
società che vagheggiavamo. Però siamo riusciti a mettere insieme un
paese, e chi avrebbe sperato di fare così alla svelta? Non basta mica una
generazione o due per costruire una società! Ecco ciò che dico ai giovani
italiani d’oggi, quelli che sputano sulla democrazia e non sono mai
contenti: «Ma come osate? La conoscevate l’Italia fascista? Avete mai
letto nulla? Leggete, ignoranti! Una democrazia non si costruisce in
trent’anni e, in trent’anni, gli italiani hanno fatto molto. Moltissimo».
Hanno fatto tanto che… L’Italia mi manca. Del resto m’è sempre
mancata: non ho mai cessato di amarla, di partecipare alle sue disgrazie e
alle sue fortune.
Ovvio che esista in me un dualismo per cui mi sento da una parte
italiano e da una parte israeliano. Quel dualismo esisterà in me no alla
morte ed è così doloroso, a volte, che sono felice al pensiero dei miei gli.
In loro non esiste quel doppio sentimento, questa nostalgia dell’arte,
dell’eleganza, del buongusto. Quattro anni fa son tornato in Italia. M’è
piaciuto tutto. Sono anche tornato a Trieste. Mi sono commosso.
Mi commuovo per no a ricordarla, Trieste: ho amato troppo la città e
la gente perché… Perché vede: io non sono uno degli ebrei che lasciaron
l’Italia sotto il trauma delle so erenze subite ed imposte. Non mi porto