Page 209 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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È lo stesso in tutti i kibbutz fuorché i kibbutz religiosi, e la cosa spiega
in parte perché non mi sono più mosso. Sono uscito dal Nezer Sereni solo
per provare un altro kibbutz vicino alla frontiera, anzi al Giordano. Ma
era il 1969, i dayn sparavano continuamente i razzi katiuscia e ho avuto
paura e sono scappato. Sono scappato di notte: c’è mancato poco che la
pattuglia israeliana facesse fuoco. Una fa! Odio troppo il sangue, la
violenza, la guerra. Gliel’ho detto anche a loro quando mi hanno chiesto,
tempo fa, se avevo fatto il servizio militare nell’esercito israeliano. «No e
non voglio farlo» gli ho detto. «Io, il fucile in mano non lo prendo. Se per
stare qui è necessario fare il servizio militare, la guerra, allora me ne
torno in Italia.» E va da sé che mi dispiacerebbe molto tornare in Italia. Ci
sono tornato due volte, in Italia, e… Com’è andata? Lo dico subito com’è
andata. La prima volta tutto si è tradotto in una gran voglia di darmela a
gambe: neanche l’Italia fosse un kibbutz sul Giordano. Mia moglie era
incinta, non eravamo ancora sposati ma lei era incinta, e appena siamo
giunti a Palazzolo di Brescia, apriti cielo! «Ma come? Hai messo una
ragazza incinta e non l’hai ancora sposata?» hanno detto i miei genitori.
E si son presi in casa lei, hanno messo me in un albergo. Non solo: io non
avevo più il senso del denaro perché nel kibbutz non si usa il denaro, le
cose si prendono e via… Sicché una tortura! Mi sembrava d’essere su un
altro pianeta, ogni volta che facevo qualcosa sbagliavo. È nita che,
invece di stare sei settimane come avevo deciso, sono rimasto tre
settimane e basta. La seconda volta, no. Io e mia moglie eravamo
regolarmente sposati: a Palazzolo di Brescia siamo giunti con due
bambini, uno di tre anni e uno di un anno e mezzo. I miei genitori si sono
commossi. Si son presi i bambini e ci hanno dato mezzo milione da
spendere. Ci hanno mandato a Firenze, a Venezia. Ci hanno pagato
l’albergo. Una pacchia. Ho mangiato e bevuto come non mangiavo e
bevevo da tre anni: oddio quanto si mangia bene in Italia!
Che cibo, che vino! In un mese sono ingrassato sei chili e mezzo: non
volevo più rientrare nel kibbutz. Ci sono rientrato perché non si poteva
rinviare la data.
Cosa ho provato rientrando nel kibbutz? Semplice: il rimpianto
dell’Italia m’è passato subito. Ormai parlo l’ebraico e questo sistema di
vita mi ha sedotto. Mi va bene, questa vita. È libera, è serena, equilibrata,
e mi dà il tempo di pensare, leggere, chiacchierare. Non sto sempre a
correre e a guardar l’orologio come facevo in Italia.
Alle quattro del pomeriggio nisce il lavoro e posso starmene coi miei
bambini, con mia moglie. Non ho i tormenti di mio fratello che non può
mai fare ciò che vuole e deve sempre fare i conti coi soldi. L’unica cosa
che mi turba, qui, è il complesso di non essere ebreo. Incominciò con la